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Call for Papers

Visualità della scrittura nelle arti e nella comunicazione visiva

a cura di Valentina Manchia e Salvatore Zingale.

deadline: 30 dicembre 2022

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Da una parte la scrittura e il linguaggio verbale, dall’altra le immagini e il dominio del visivo e del visibile. Così siamo abituati a pensare, sin dalle prime consuetudini che insegnano da un lato il codice e la normativa dell’alfabeto e dall’altro il disegno, fino alle consolidate barriere che oppongono il leggere e il guardare e che soprattutto affermano la subordinazione della scrittura alla forma fonica della lingua, di fatto negando alla scrittura la possibilità di esistere anche come artefatto visivo.
Eppure Roland Barthes (1970), guardando (o leggendo) un calligramma giapponese, poteva domandarsi dove cominciasse la scrittura, in quei segni spessi e densi, e dove la pittura, di fatto già superando le dicotomie tra immagine e scrittura proprie della linguistica saussuriana (“Lingua e scrittura sono due distinti sistemi di segni; l’unica ragion d’essere del secondo è la rappresentazione del primo”, Saussure 1916).
La storia della scrittura viene spesso presentata come un lungo percorso di affinamento, dalle rudimentali forme mnemotecniche, alle rappresentazioni approssimative dei petroglifi e dei mitogrammi (Leroi-Gourhan 1964, 1965), fino alla sistematicità e alla funzionalità dell’alfabeto (Gelb 1952, 1963; Février 1984; Bocchi e Ceruti 2002). Nel mezzo, fanno la loro comparsa diverse altre forme di scrittura, riconducibili a espressioni pittografiche, ai sistemi geroglifici e ideografici, ai marchi di proprietà, a sistemi sillabici, e altro ancora.
Questa storia – che potrebbe costituire la base per una “grammatologia semiotica” –, vede spesso ogni forma di scrittura trovarsi di fronte a una doppia vocazione: se rappresentare “direttamente” i contenuti di pensiero, o se limitarsi alla trascrizione fonematica. In ambedue i casi, la dimensione grafica e visiva sembra passare in secondo piano, piegandosi a una mera funzione sostitutiva. Tuttavia, la scrittura non si sviluppa solo come strumento di trascrizione (del pensiero così come dell’oralità), ma può diventare anche, al contempo, portatrice di un’urgenza espressiva e non più solo puramente notazionale. Nella sua pratica, insomma, la scrittura può imporsi anche come immagine, se trova la via per coniugare leggere e guardare a partire da quella dimensione materica e grafica che non può mai venire meno.
Accanto alla scrittura a funzione notazionale cui siamo abituati, infatti, ci sono state, come Genette (1976) mostra bene, sia scritture non trasparenti ma mimografiche, in cui gli stessi elementi del linguaggio scritto sono tali perché assomigliano alle porzioni di mondo a cui si riferiscono, sia numerose altre contaminazioni tra immagine e scrittura, in cui le figure alfabetiche assumono forma di figura, come nei carmi figurati medioevali o nella micrografia ebraica, o hanno indubbiamente la forza di elementi vivi e attivi sulla pagina, come nella poesia visiva e nella poesia concreta.
Dell’intreccio sincretico tra immagine e scrittura si sono occupate la storia dell’arte e la teoria delle immagini (Schapiro 1996, Freedberg 1989; Elkins 1999), gli storici e i teorici della comunicazione visiva (Harris 2000; Perondi 2012); e infine la riflessione semiotica, a partire dalle osservazioni di Hjelmslev (1943) prima e di Greimas (1984) poi sulla possibilità di una lettura altra della scrittura, a partire da una riflessione sulla complessità della sua sostanza espressiva.
Anche la riflessione antropologica ha evidenziato sia la continuità tra forme scritturali e forme visive (Cardona 1981), sia l’intreccio complesso tra gesto e parola da cui la scrittura ha origine (Leroi-Gouhran 1964, 1965), sia il substrato comune a disegno e scrittura (Ingold 2007).
Proponiamo quindi di considerare l’attività grafica della scrittura come sistema di “modellizzazione primaria del pensiero” (Cardona 1981) al pari della lingua, seppure su piani espressivi differenti. Infatti, nel nostro ambito culturale, anche dopo l’affermazione dell’alfabeto – il sistema grammatologico maggiormente in funzione dell’oralità – la pratica della scrittura non ha mai cessato di operare come sistema sovralinguistico, che ingloba in sé il linguaggio, piuttosto che limitarsi a rappresentarlo (Derrida 1967). Dall’epigrafia romana alla tipografia moderna, la scrittura, attraverso la scelta dei supporti e la modulazione delle variabili visive (Bertin 1967), va ben oltre la funzione di “ancella della parola”. Al contrario, traduce e materializza nella propria modalità di espressione, e in piena autonomia, valori culturali e conoscenze enciclopediche, orientamenti ideologici e finalità estetiche, così come può farsi carico, a suo modo, del senso del testo scritto.
Dai technopaegnia alessandrini in poi (Pozzi 1981), nelle arti e nella poesia, nel design e nella comunicazione pubblica, sono molti i casi in cui la scrittura, alfabetica o meno, è stata capace di farsi carico di una sua autonoma significazione, con funzioni più di visualizzazione o di espressione che di notazione.
Nel campo artistico e poetico vanno in particolare ricordate la poesia concreta degli anni Cinquanta, la poesia visiva e la nuova scrittura degli anni Sessanta e Settanta (Accame 1981; Pignotti e Stefanelli 2011), oltre alle prime sperimentazioni delle parolibere futuriste (Fabbri 2009, Bove 2009, Polacci 2010). E poi ancora la presenza della scrittura in molte opere pittoriche, nelle “proposizioni” dell’arte concettuale o nelle “documentazioni” della narrative art (Fabbri 2020), così come nelle tag e nella street art in generale. E inevitabilmente, la visualità della scrittura è presente anche nel web e nelle sperimentazioni di letteratura digitale (), così come nel fumetto e in altre forme di comunicazione visiva (Barbieri 2011).
Nel campo del progetto grafico si possono citare le sperimentazioni pop del linguaggio pubblicitario del Dopoguerra, la produzione di graphic designer come Massin, Herb Lubalin, David Carson o di illustratori come Folon e Steinberg (Massin 1993; Manchia 2013); i sistemi grafici pensati per essere efficaci in contesti comunicativi plurilinguistici, dal primo storico esempio dell’Isotype di Otto Neurath, utopicamente universale, fino ai pittogrammi internazionali nel wayfinding; le innovazioni tipografiche e la rinascita della calligrafia.
I contributi potranno sviluppare il tema della visualità della scrittura a partire da oggetti appartenenti a domini differenti (arti, grafica, design, letteratura, comunicazione visiva) e attraverso più approcci (semiotica, antropologia e teoria delle immagini, storia e teoria dell’arte, design della comunicazione, design dell’informazione, media studies, cultura visuale), con l’obiettivo di favorire il dialogo tra discipline e le prospettive d’indagine.

Tra le linee di ricerca possibili:
• esempi di scrittura visiva nelle arti e nella poesia, in particolare nel Novecento e nelle più recenti sperimentazioni;
• contaminazioni tra scrittura e immagine nella progettazione grafica e nella comunicazione visiva;
• progettazione del carattere tra tipografia espressiva e type design;
• intersezioni tra notazione, espressione, visualizzazione;
• materialità della scrittura e arti calligrafiche;
• usi dei pittogrammi nei sistemi grafici (wayfinding, data visualization, packaging, ecc.);
• forme di notazione nelle arti (musica, danza, teatro, ecc.)
• forme di notazione nelle scienze (logica, matematica, chimica, ecc.)
• interpretazione delle scritture non alfabetiche e/o extraeuropee;
• differenze fra scritture e multiculturalismo.







 
 
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ISSN 1724-7810   |   DOI: 10.12977/ocula

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