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Call for Papers

Wayfinding e comunicazione ambientale.

a cura di Michela Deni e Salvatore Zingale.

deadline: 20 dicembre 2012

Premessa: pur per iniziativa di una rivista semiotica, questo Call for papers è rivolto anche a studiosi di altri campi di ricerca, fra cui: psicologia ambientale e cognitiva, psicologia della percezione, antropologia, geografia, etologia, architettura e urbanistica, design della comunicazione, degli allestimenti, dei servizi, ergonomia, ecc.

Ricordate la nota domanda di Totò e Peppino al vigile urbano in Piazza del Duomo a Milano? “Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?”. La domanda, a dire il vero, non è poi così tanto comica né illogica. L’esperienza ci dice infatti che tutti abbiamo costantemente bisogno di sapere verso quale parte andare: quando l’ambiente in cui ci troviamo perde di identità e di figuratività (Lynch), quando non siamo in grado di dare senso al territorio. La vita stessa è movimento, o non sarebbe possibile senza di esso, senza l’esplorazione e la ricerca; vicino o lontano che sia, abbiamo sempre un obiettivo cui tendere. La necessità di sapere dove ci si trova e per dove si deve andare – ciò che chiamiamo senso di orientamento – è insomma radicata nella nostra natura umana e semiotica.
L’orientamento è una abilità propria di ogni organismo vivente, degli animali umani e non umani. Questa abilità viene influenzata da diversi fattori. Alcuni di questi possono far già parte dell’ambiente, altri invece vengono progettati e aggiunti agli ambienti, naturali o costruiti, al fine di renderli maggiormente efficienti. Nel primo caso si tratta di conformazioni o stimoli ambientali che richiedono un atto di interpretazione; nel secondo invece di forme di testualità (architettonica, grafica, verbale o di altra natura espressiva) che comportano una lettura da parte dei diversi soggetti-utenti.
In questo secondo caso, il senso di orientamento è aiutato da artefatti comunicativi e da forme di testualità visiva che chiamiamo “sistemi segnaletici” e che costituiscono, dal Lynch in poi, un campo di ricerca e di progetto fra i più complessi e urgenti: il Wayfinding.

Secondo Romedi Passini, architetto e psicologo ambientale, il wayfinding può essere definito come “l’abilità umana di raggiungere una meta nello spazio all’interno di una configurazione nuova o già familiare” (Passini, Wayfinding: a conceptual framework. “Urban Ecology”, 5, 17-31, 1981). In estrema sintesi, Passini distingue tre fasi wayfinding, da lui inteso come “spatial problem solving”:
1) elaborazione delle informazioni ambientali, a partire sia dall’esperienza attuale sia dalle esperienze passate;
2) compiere scelte e prendere decisioni, e quindi sviluppare piani di azione in base alle informazioni elaborate e agli specifici compiti da eseguire;
3) rendere i piani elaborati esecutivi e le decisioni prese azioni.
Al di là delle sue applicazioni pratiche e progettuali, il wayfinding può essere allora considerato come forma di relazione attiva e semiosica fra la persona e lo spazio, il modo in cui nella mente si formano rappresentazioni spaziali che vengono utilizzate durante gli spostamenti all’interno di un determinato ambiente.
Nel wayfinding è insomma coinvolta e richiesta una performanza semiotica, ossia la capacità di dare senso ai luoghi e di “leggere” lo spazio. Ma lo studio del wayfinding, e in genere dei processi di orientamento, non coinvolge solo la dimensione semiotica. L’antropologia e la psicologia ambientale, ad esempio, hanno dato contributi assai rilevanti. Allo stesso tempo, si moltiplicano sempre più progetti di sistemi segnaletici o di environmental graphic design di alto livello sia metodologico sia poetico.

Ma qui sorge anche un’altra, paradossale, questione: alla presenza, e spesso all’abbondanza di segnali, non corrisponde necessariamente un’adeguata efficienza comunicativa. L’affollamento segnaletico produce anche malessere cognitivo o affettivo. La complessità spaziale si traduce in confusione e smarrimento. La presenza di sistemi segnaletici, seppur necessaria, è di fatto un passo verso l’accumulo e il rumore informativo.
Da qui un sospetto: che il paradosso dell’inefficienza comunicativa proprio in presenza di una gran mole di segnali venga in gran parte generato da una concezione di comunicazione che si affida solo all’idea di codice, come avviene per la segnaletica automobilistica. Se il problema risiedesse davvero qui, allora una possibile soluzione andrebbe cercata nella considerazione di una diversa relazione semiotica e psicologica fra ambiente e soggetto-utente, così come nel modo in cui la mente interpreta gli stimoli dell’ambiente.

Da qui alcune domande, non le sole, pensate per raccogliere casi studio, approcci disciplinari, analisi di sistemi segnaletici, rapporti e raffronti fra diverse “culture dell’orientamento”, racconti di sperimentazioni o di progetti svolti, e altro ancora:
-- Quali sono gli strumenti delle diverse discipline (semiotica, psicologia, antropologia, geografia, etologia, ecc.) che possono far meglio comprendere la natura del wayfinding?
-- Quali sono i modi attraverso cui la mente interpreta gli stimoli dell’ambiente?
-- Come possiamo studiare e conoscere il comportamento ambientale?
-- Secondo quali approcci e metodologie vengono progettati i sistemi di orientamento?
-- Come possono i sistemi segnaletici soddisfare un approccio di Design for All e inclusivo, anche in considerazione della diversità linguistica e culturale?
-- Come muta la considerazione dell’orientamento e il progetto di wayfinding a seconda dei luoghi cui è destinato: istituzioni e scuole, aeroporti e stazioni ferroviarie, musei, biblioteche, ecc.?
-- Sono possibili analisi comparate fra sistemi segnaletici omologhi di nazioni o culture diverse?
-- Quali problemi tecnici e di percezione comporta la leggibilità dei dispositivi segnaletici?
-- Che relazione può esserci fra wayfinding e e identità ambientale?
-- È possibile l’ideazione e la disposizione di marcatori ambientali in grado di comunicare attraverso la loro natura sensoriale, in modo da indurre alla comprensione inferenziale?

Dati tecnici
Lunghezza degli abstract: massimo 2.000 battute.
I saggi non hanno limiti di spazio, ma si chiede di stare entro le 40.000 battute.
I saggi possono essere corredati da immagini di qualsiasi tipo.
L’impaginazione sarà a cura degli autori sulla base di un format fornito dalla rivista.
L’accettazione degli abstract e la pubblicazione dei saggi è sottoposta a peer review.

Gli abstract vanno spediti all’indirizzo redazione@ocula.it

Data di consegna degli abstract: 15 marzo 2013
Data di consegna dei saggi: 15 maggio 2013
Pubblicazione prevista: ottobre 2013.







 
 
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ISSN 1724-7810   |   DOI: 10.12977/ocula

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