Ocula 3, febbraio 2003

Nuove forme di interazione in Internet:
Il caso dei 1st Person Shooter

 

di Francesco Galofaro



Questo articolo affronta molti dei problemi sollevati alla scuola estiva di San Marino tenutasi in settembre 2002, il cui tema era Semiotica e Nuovi Media. Gli atti del convegno saranno pubblicati, a cura di Giovanna Cosenza, su un numero triplo della rivista Versus all'inizio del 2003.
Lo scopo del nostro lavoro è testare alcune delle proposte teoriche e metodologiche per l’analisi degli ipertesti, proposte nelle relazioni alla scuola estiva, su di un dominio del tutto particolare, ossia le pratiche sociali internet che sfruttano spazi in tre dimensioni (3D).




Introduzione: Problemi dell’ipertestualità

In un recente convegno dal tema Semiotica e Nuovi Media, tenutosi a San Marino e organizzato da Giovanna Cosenza, i semiologi intervenuti si sono interrogati su due questioni riguardanti internet.
Il primo problema riguarda la riflessione teorica sui nuovi media, che ha prodotto negli anni un apparato di concetti, come ipertestualità, interattività, multimedialità. Questi concetti vanno attentamente posti al vaglio della critica semiotica, poiché spesso gli elementi di novità non sono realmente tali rispetto a ciò che era già presente nel panorama dei media "tradizionali". Ugo Volli e Guido Ferraro hanno sottolineato la necessità di critica del il concetto stesso di medium e di "Nuovo".
La seconda questione riguarda ovviamente la ricaduta che i nuovi mezzi di comunicazione hanno sui modelli tradizionali della semiotica. Il vecchio modello della teoria dell’informazione (emittente, ricevente, canale, codice, messaggio) non sembra adeguato a rendere conto dell’impressione del navigatore di entrare in "luoghi" (vado in internet, entro nel sito etc.), dove a volte interagisce con altri utenti come in una sorta di piazza o in un bazar (si pensi alle chat e ai forum di siti commerciali). Ciò accade anche per i newsgroup, grazie a strumenti che consentono di tenere traccia in maniera gerarchica delle risposte, delle risposte alle risposte, e di aggiungere ad ogni nodo dell’albero un nuovo messaggio, un nuovo anello che genera un nuovo discorso: questo tipo di multilinearità trasforma la vecchia "pagina della posta" delle riviste in un luogo dove avvengono diverse narrazioni parallele; in più — come ha mostrato Lella Mascio - consente di mettere in rapporto il luogo virtuale di riunione e discussione con i luoghi fisici dove gli eventi accadono, grazie alla figura dell’ ‘inviato’, di chi scrive trovandosi ‘sul posto’.

Questo senso di Località è il primo fenomeno riguardante internet che ritroviamo anche nei siti 3d, che cercano ampiamente di simulare uno spazio tridimensionale.

Di fronte a questi problemi, Alessandro Zinna ha notato la necessità di trovare modelli semiotici che descrivano internet non solo allo stato attuale, ma anche nelle sue possibili evoluzioni; che non siano dunque legati alle sorti di una determinata tecnologia, o di un protocollo, ma che adottino uno sguardo fenomenologico; e che implementino un approccio interpretativo per tutto quel che riguarda il tipo di inferenze richieste all’utente dall’interfaccia. E’ questo il concetto alla base della sua idea di Design dell’interazione (cfr. Zinna 2001).
 

1.0 Evoluzione di Internet

Procediamo con ordine, cercando di comprendere quali problemi siano posti dalla ricerca di una logica di evoluzione di Internet che consenta di comprendere di quali strumenti semiotici si possa aver bisogno anche in futuro.
Al convegno di S.Marino, Ugo Volli ha ricordato come da un punto di vista tecnologico Internet non sia qualcosa di nuovo, paragonabile all’invenzione del telefono o della radio, ma rappresenti la convergenza di tecnologie già presenti nella società, il PC e il telefono. Guido Ferraro ha notato inoltre come la multimedialità consentita da internet non faccia che riproporre vecchi contenuti di media precedenti, filmati, musica, informazione giornalistica, ecc. Il parallelo è con la televisione che riproponeva la messa, il teatro, l’opera, la scuola, tutte cose che erano già presenti nella società. Vorremmo tuttavia contrapporre a questa osservazione un punto di vista diverso, meno improntato ai contenuti e più alla forma. Comincerei con un esempio: quando si pose il problema dell’opera musicale in televisione, la riflessione di chi all’epoca si occupava del nuovo medium riguardava la regia televisiva, anche quando le differenze tra assistere ad un’opera a teatro o guardarla sul piccolo schermo servivano agli "apocalittici" per condannare la TV (Cfr. Bolla — Cardini 1997).
Possiamo reperire un analogo della "regia televisiva" per il web? Possiamo individuare innovazioni formali non tanto nel tipo di contenuti proposti dal web, quanto nelle possibilità di regia e di montaggio? Di seguito forniremo un esempio di ciò che intendiamo come regia-web.

1.1 Regia Web

Sul sito Internet del consorzio Nettuno, che come sappiamo si occupa di istruzione universitaria a distanza, sono presenti alcune delle videolezioni trasmesse in televisione a notte fonda o via satellite in chiaro. Le lezioni sono semplicemente archiviate nel web, che di specifico si limita ad offrire un sistema di indicizzazione nella lezione stessa, in modo da giungere al punto che potrebbe maggiormente interessarci senza dover guardare l’intero filmato. La qualità del video è scadente, spesso si blocca per consentire il refresh del buffer, si muove comunque a scatti, ed è per lo più inutile guardare la faccia del professore mentre spiega, tranne quando vengono mostrati dei "lucidi" o degli "schemi". A questo punto è tranquillamente possibile aprire una finestra di un qualsiasi editor di testi — l’analogo di un quaderno — e prendere appunti. Se dovessimo pensare a possibilità che già oggi sono offerte dalla tecnologia attuale, potremmo eliminare la parte video, presentare la lezione solo in formato audio con uno speakeraggio, e costruire un sitema di lucidi più completi e in forma più elegante utilizzando una presentazione simile a Powerpoint.
Il tutto sarebbe più economico dal punto di vista della quantità di dati da trasmettere, anche rispetto ai più moderni sistemi di compressione del video.
In questo modo avremmo una logica di montaggio che sfrutta maggiormente le forme consentite da Internet, e meno dipendente dal media tradizionale e dal broadcasting.

1.2 Active Words

Proseguendo nell’indagine della regia-web, prendiamo in considerazione Active-Words, una evoluzione del web in 3d che consente la costruzione di siti che ricordano ambienti realistici, piazze, edifici, paesaggi, senza le limitazioni delle leggi fisiche.
Come ha notato Lella Mascio, spesso questi mondi, possibili o impossibili, sono utilizzati come chatroom; i navigatori si spostano da un mondo all’altro e si incontrano in diversi "luoghi"; questo senso di "località" che contraddistingue la rete deve essere spiegato in qualche modo, ma rimandiamo la sua precisazione alla fine della trattazione.
Ogni navigatore è contraddistinto da un Avatar, un personaggio elettronico scelto tra varie possibilità, che lo rappresenta nel mondo virtuale e tramite il quale interagisce con il mondo e con gli altri avatar.

Nella figura, un matrimonio in Active Words

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L’evoluzione 3d di internet segue un principio di economicità della trasmissione tipico del web, per cui tutto ciò che serve alla visualizzazione non viene trasmesso dal server, ma si trova sul PC dell’utente. Per questo motivo, è necessario scaricare un browser tutto nuovo da un sito 2d tradizionale per navigare nella rete 3d. Il motore di animazione — tipico del 3d — si trova dunque a casa dell’utente. Active Words consente comunque due tipi di regia-web. In primo luogo, la prospettiva sul mondo può essere incarnata nell’avatar, consentendo una visione analoga alla soggettiva del cinema. Oppure, il punto di vista può essere svincolato dall’avatar, e in questo caso la visione somiglia più a quella della oggettiva. C’è subito un primo problema, per il quale in entrambi i casi il punto di vista può spaziare a piacere dell’utente sui tre assi del sistema cartesiano del mondo in questione. In altre parole, possiamo alzarci e vedere il mondo in panoramica anche se siamo incarnati nell’avatar — il quale può letteralmente librarsi in volo e levitare. Questo fa cadere le vecchie distinzioni tra oggettiva irreale e soggettiva poste da Casetti (1986), semplicemente perché il mondo 3d internet non è sottoposto alle stesse leggi fisiche dei mondi del cinema.
Ma le modalità consentite (Prima persona Vs. Terza persona), continuano a somigliare a meccanismi narrativi già noti e tipici dei testi tradizionali. Quel che cambia molto è il fatto che all’utente resta la scelta registica: in altre parole, il lettore e il regista dello sguardo sul mondo coincidono.

1.3 Dalla regia alla meta-regia.

Nel suo intervento, Zinna mostra come l’ipertesto causi la fine della distinzione tra programmi (sistemi di comando) e documenti (sistemi di elementi), perché implementa sistemi di comando nei documenti stessi; i documenti sono allora dei meta - documenti, nella misura in cui i programmi divengono meta - programmi, ossia sistemi in cui si scrivono sistemi di comandi all’interno dei documenti. Ci sembra che questa distinzione si adatti perfettamente al caso della soggettiva:
l’animazione tradizionale diventa una meta-animazione la cui regia è affidata all’utente; il browser 3d diventa allora un meta-sistema di animazione, che delega i comandi della regia nelle mani dell’utente.

Ecco dunque la distinzione che rende l’animazione 3d consentita dal web una meta-animazione. Questa è una possibilità della regia-web non consentita dai media tradizionali.

1.4 Sguardo oggettivante Vs. soggettivante

Vorremmo mostrarne altre, per comprendere le caratteristiche che le accomunano. Nel suo intervento, Piero Polidoro ha mostrato come il 3d sia una tra le strategie "oggettivanti" consentite dal web nell’enunciazione dei contenuti. L’effetto di "oggettività" si basa su alcune categorie plastiche, in particolare topologiche, che la semiotica greimasiana riprende dalla teoria della Gestalt. Quel che interessa è che in siti dove si danno informazioni come i portali, sono impiegate categorie rettilinee, basate sulle opposizioni tipiche dello spazio cartesiano, come alto/basso, destra/sinistra ecc. Le informazioni sono poi inserite in una serie di cornici, quelle che per Metz sarebbero marche dell’enunciazione, che le oggettivano tramite la creazione di una distanza tra la pagina web e ciò che in esse è contenuto: vi è una enunciazione, un atto dell’enunciazione, ben distinto da ciò che è enunciato, che appare come rappresentazione. Tutto ciò è ben noto agli studiosi di arti figurative, ogni volta che ci imbattiamo in casi di meta-rappresentazione, di quadri nel quadro, o di quadri che raffigurano quadri.
Abbiamo qualche problema a dichiarare il 3d oggettivante o soggettivante una volta per tutte.
Tutto il 3d si basa sullo spazio cartesiano, eppure è ancora possibile distinguere tra i giochi, che tendono allo sguardo soggettivante, e — ad esempio — i musei virtuali, sicuramente più oggettivanti.

Anche le cornici sono rilevanti a creare questo effetto: infatti nei giochi esse tendono a sparire, a ridursi, a diventare meno visibili, e l’apparato enunciazionale minimo si sposta in luoghi meno visibili: la barra dei menù scompare, le informazioni essenziali sullo stato del nostro avatar si spostano in basso, dove per motivi gestaltici balzano meno all’occhio, gli viene attribuita minor importanza. In altri tipi di siti in 3d invece le cornici restano, compreso Active-Words. Ma anche qui è sempre possibile chiudere le varie finestre di controllo, ad esempio quella con l’indice dei mondi esistenti nella "matrice" Active Words, anche se alcune di esse restano essenziali, se non altro per il fatto che tutti i dialoghi avvengono in una finestra testuale. Non ci interessa:
quel che è importante è come l’utente possa ridurre a piacere l’apparato enunciazionale a piacere fino a far coincidere spazio enunciato e spazio dell’enunciazione, per ottenere il massimo effetto soggettivante reso possibile dall’interfaccia.

Anche questo è un elemento importante del montaggio reso possibile dalla regia-web: essa rende possibile all’utente montare le finestre e i dispositivi topologici in cui è stoccata l’informazione, accostarli, distanziarli, ridurli, spostarli sul monitor o chiuderli. L’interfaccia diventa allora una sorta di dispositivo di meta-montaggio.

1.4.1 Embrayage vs debrayage.

Ma ancora, è importante affrontare la questione del punto di vista da questa prospettiva enunciazionale. E’ infatti importante notare come anche essa consenta una strategia maggiormente soggettivante o oggettivante, nella misura in cui si crea o si annulla la distanza tra la prospettiva dell’utente e dell’avatar. Si tratta di un fenomeno di debrayage/embrayage ben noto alla semiotica generativa, di cui anche le cornici sono un aspetto. Esattamente come il cambio di una automobile consente di passare dalla marcia al folle (debrayage) e poi inserirne un’altra (embrayage), l’utente può installarsi soggettivamente nell’avatar (embrayage) o uscirne (debrayage).
Per proseguire, sempre Polidoro ha notato lo scarso successo che generalmente hanno avuto gli esperimenti 3d nel web. Alcune tra le cause consistono nella costrittività dei percorsi, da un lato, nella maggiore difficoltà di visualizzazione e leggibilità delle informazioni rispetto al 2d tradizionale, e nella gran mole di dati in più che devono essere scaricati dall’utente. Accogliendo un suggerimento di Davide Gasperi (comunicazione personale) diremo che <<il problema di fondo è che la spazializzazione 3d è una forma di ordinamento dei dati per la quale è difficile trovare una giustificazione d'impiego>>.
Ovviamente non parliamo di ogni genere di 3d, non solo e non tanto perché esistono comunità di fans di Active Words, visto che sono comunque una variante dei frequentatori di chat tradizionali. Ci interessa piuttosto il fatto che vi sono pratiche sociali web consentite soltanto dalle applicazioni del 3d, e molto più diffuse di quanto non si pensi: e sono i 1st Person Shooter come Quake III e Unreal Tournament, nonché tutte le sperimentazioni precedenti a partire dal primo Quake e tutte le successive evoluzioni.
E’ dunque chiaro che sono le pratiche sociali a decretare lo sviluppo o la morte di una possbilità messa a disposizione dalla tecnologia internet, e non viceversa. Sarà allora il caso di affrontare quella particolare pratica sociale che è il gioco in 3d, che sta avendo tanto successo in internet.

2.0 I giochi 3d.

La prima grande distinzione tra giochi 3d riguarda proprio il tipo di sguardo: abbiamo i 3rd person shooter e i 1st person shooter.
Un esempio di 3rd person shooter è Tomb Rider, il cui avatar, Lara Croft, non può essere modificato a piacere. Esistono naturalmente altri giochi in terza persona che consentono la selezione o la costruzione di un avatar, ma non ci interessa in questa fase. Cosa ha reso Lara Croft così popolare tra gli utenti di videogames, in particolare tra gli uomini? Per comprenderlo, ci rifacciamo ad una definizione di interattività data da Alessandro Zinna: si tratta di un punto di arresto nell’ipertesto, in cui un comando consente all’utente un avanzamento. In altre parole, mi trovo leggere una pagina in internet, o guardo un filmato, finché tutto si ferma e uno o più comandi mi consentono di avanzare nella navigazione, scegliendo tra almeno due possibilità; nel caso più semplice, tutto si riduce a restar fermo e non fare proprio nulla o premere il pulsante ‘continua’. Può sembrare una definizione piuttosto statica, ma anche nei giochi 3d è possibile imbattersi in momenti in cui non posso continuare nel percorso prima di aver eseguito una certa operazione, raccolto un oggetto, premuto il pulsante dell’ascensore, etc. Possiamo chiederci se è adeguata all’interazione continua che l’utente ha con Lara Croft. La risposta è sì, purché ci si renda conto della seguente differenza tra l’interazione con una pagina web e quella con l’avatar:
Il tipo di interazione richiesto dall’avatar è di natura durativa: devo continuare a dare un certo comando a Lara perché essa continui a spostarsi in avanti: nel momento in cui cesso di darle il comando, lei si ferma. Ecco una caratteristica specifica del 3d, ossia quella che è possibile una interazione non solo puntuale (come cliccare su un link), ma durativa (un po’ come trascinare qualcosa con il mouse).
Notiamo immediatamente che da questa distinzione ne segue un’altra: esiste una doppia interattività nel gioco 3d: quella con l’avatar e quella dell’avatar con il mondo. Il mondo 3d viene manipolato attraverso l’avatar. Abbiamo un curioso incassamento di interfaccia: l’interfaccia A mi consente il rapporto con l’avatar, che è a sua volta una interfaccia B tra l’utente e il mondo 3d. Nel caso dei giochi 3d l’interfaccia A è solitamente costituita da mouse+tastiera, ma non è detto che sia così; in giochi più arcaici lo spazio dell’enunciazione aveva un grande ruolo, e l’avatar poteva essere guidato da un sistema di pulsanti sul video, complicando ulteriormente il sistema di incassamento dell’interfaccia; in Active Words non è un comando dato con la tastiera che consente di mutare mondo, ma è necessario clicccare su di un link presente nello spazio dell’enunciazione (a volte anche in quello dell’enunciato). La complicazione non sembra essere di particolare interesse teorico:
ciò che accomuna tutti i casi è che il sistema dell’interfaccia assume l’aspetto di una gerarchia di livelli. Un aspetto interessante della doppia interattività prevista dai giochi 3d risiede invece ancora una volta nella regia.

2.1 Lara Croft e i giochi in 3rd person.

Nei giochi in 3rd person il punto di vista non è quello del personaggio; a sua volta, a seconda del tipo di pratiche necessarie, la regia è completamente svincolata dall’avatar, come in alcuni giochi strategici in tempo reale in cui abbiamo più avatar controllati dall’utente; nel caso di Lara Croft la regia dipende dalla posizione dell’avatar, per cui la controlliamo manipolando l’avatar stesso, muovendolo nello spazio, facendolo voltare, etc. L’oggettiva diventa in questo caso quella che per il cinema è una semi-soggettiva, in cui il nostro punto di vista è vincolato a quello di un personaggio, senza che coincida con il personaggio, che è diegetizzato. Qualcosa del genere l’abbiamo con la camera-car della formula uno, in cui non vediamo esattamente quel che vede il pilota, ma il nostro punto di vista è vincolato al suo.
In ogni caso, non siamo embrayati all’interno del nostro avatar, e dunque rispetto a noi esso è un oggetto che richiede una manipolazione continua.

Probabilmente il successo di Tomb Rider consiste effettivamente nel fatto che la nostra Lara Croft viene continuamente manipolata ed usata, la qual cosa ha connotazioni erotiche piuttosto note (cfr. De Maria — Mascio 2000). A parte tutte le pose che la ritraggono con pochissimi veli, girano leggende su codici segreti che, se immessi dall’utente, la spogliano consentendo (finalmente!) di vederla ignuda.

2.2 I giochi in 1st person.

Veniamo agli sparatutto in 1st person. Il nostro gioco di riferimento sarà Unreal Tournament, che è stato specificamente realizzato per il gioco in rete di più utenti (questa modalità di gioco è nota come multiplayer). Sarà tuttavia opportuno preliminarmente dire qualcosa sull’evoluzione di questo tipo di giochi, che nascono per una modalità di gioco differente (single player), in cui l’utente ha un percorso da affrontare che lo porta, di livello in livello, a realizzare un obiettivo: gioca da solo sul PC domestico. L’opponente è costituito in primo luogo dalla struttura dello spazio stesso intorno all’avatar (per cui bisogna ad esempio saltare con una certa precisione per non cadere in una palude infuocata o in una pozza di acido, o bisogna scalare una parete senza cadere per non farsi male — ad esempio fratturandosi una gamba). In secondo luogo l’opponente è costituito da una serie di mostri (a volte piuttosto stupidi o deboli, altre volte forti o dotati di diabolica perspicacia) che cercano di danneggiare seriamente l’avatar o di ucciderlo. La sanzione negativa per un avatar seriamente danneggiato o ucciso è quello di dover ricominciare il gioco dall’ultimo punto in cui è stato salvato. Per questa ragione alcuni giochi comprendono una modalità di salvataggio rapido, altri — per rendere tutto più difficile — costringono l’utente a salvare in determinati punti e non in altri.
 

2.2.1 Interattività utente/macchina: il caso di Deus-Ex.

Notiamo altre caratteristiche di questi single player a scopo di confronto con i più evoluti multiplayer.
Innanzitutto, un elemento di regia: lo sguardo dell’utente in casi particolari è debrayato da quello dell’avatar, rendendo l’effetto di senso dell’oggettività. Ciò accade quando l’utente viene ucciso, o quando finisce uno schema. Molto interessante il caso di evoluzioni più recenti come Deus-Ex, in cui questo accade anche ogni volta che chiacchiera con un abitante del mondo facendo partire una sequenza animata.

In figura: il nostro sguardo è de-soggettivato, così che possiamo vedere il nostro avatar da una prospettiva particolare, mentre chiacchiera con un personaggio del mondo 3d

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Questa sequenza è dotata di temporalità interna, durante la quale l’interattività durativa è sospesa; resta una forma di interattività che consente all’utente di scegliere tra diverse domande o risposte da dare all’abitante del mondo.

Dunque a ben vedere, questo tipo di interazione è un montaggio di diverse sequenze tra i diversi punti di arresto in cui l’utente opera tramite una interattività non durativa del tutto tradizionale, equivalente all’atto di cliccare su di un link in una pagina web. Una caratteristica interessante di Deus-Ex è che gli abitanti del mondo forniscono spesso informazioni su come proseguire la storia, indizi, ecc. Trasferiscono all’utente una serie di competenze che lo rendono in grado di proseguire nella realizzazione della performance del gioco. Ma questo non avviene affatto in maniera automatica. All’utente sono richieste una serie di inferenze circa i personaggi che è interessante interrogare, il tipo di informazioni di cui potrebbero essere in possesso, le domande giuste da fare per ottenere le informazioni, quelle da evitare per non ottenere risposte negative che vanno dal troncare la conversazione, alla fuga o all’aggressione, ecc. Ottenuti gli indizi, altre inferenze vanno fatte circa il collegarli tra loro, per formulare ipotesi circa il prosieguo del gioco, ad esempio in quale casa di quale strada entrare tra le tante per cercare un particolare oggetto, o quali tra i personaggi futuri che incontrerà saranno opponenti o aiutanti, e dunque di chi diffidare, o come evitare trappole, imboscate, ecc. Tutto questo complica enormemente la storia, nel senso di fornire più strategie alternative, dalle più semplici alle più ardue, per avanzare nel gioco. Deus-Ex è inoltre anche un RPG, un Role Playing Game: il nostro personaggio attraversa un processo di Expertise durante il gioco, e può sviluppare alcune abilità e trascurarne altre: potrà diventare un cecchino eccezionale, ed essere interessato a percorsi che lo tengano a debita distanza dal nemico; e contemporaneamente essere un pessimo guastatore, il che lo spingerà ad evitare di entrare da accessi minati, o che richiedano la competenza per disinnescare sistemi d’allarme. Dunque i vari percorsi possibili sono più o meno difficili non in senso assoluto, ma per quell’avatar in particolare, a seconda di come lo abbiamo costruito. Per terminare il tutto, gli autori hanno previsto la possibilità di tre finali alternativi.
Ripensando al concetto di lettore modello in semiotica, ossia al modello di lettore che è in grado di cooperare felicemente con il testo attualizzandolo, possiamo parlare qui di una tipologia di utenti-modello previsti dal gioco in grado di compiere scelte alternative.

Il fatto di ostacolare l’interazione tra utenti-modello e mondo, rendendo difficile reperire le informazioni e richiedendo inferenze creative da parte loro per risolvere determinate situazioni, è una scelta di design dell’interazione tipica di questo tipo di giochi; è molto diversa da quella del design di siti web a scopo non ludico, dove le inferenze dell’utente vanno facilitate al massimo perché comprenda velocemente come interagire al meglio per reperire l’informazione che cerca.
La pratica sociale del gioco richiede che le cose non siano rese all’utente il più semplici possibile, come sarebbe bene in un sito web che voglia essere il più utile e veloce da consultare al lettore: è famoso tra gli appassionati il caso di Monkey Island, in cui è necessario utilizzare un pollo finto a mò di carrucola per poter attraversare un braccio di mare attraversato solo da un cavo. Anche più interessante il caso di Avventura nel Castello, di Enrico Colombini, una vecchissima avventura solo-testo in cui, per sconfiggere un Orco, bisognava "suonargliele" con una cornamusa.
Ci si potrà chiedere quanto la presenza di finali alternativi, o di diversi percorsi, possa incidere sul concetto tradizionale di narratività. Non molto, in realtà, visto che non è possibile seguire contemporaneamente diverse storie; in determinati punti, ci sono delle disgiunzioni narrative di tipo (aut-aut); ma è possibile al lettore attualizzarne una sola alla volta; alla fine del gioco, retrospettivamente, il risultato è una storia del tutto tradizionale. Certo, un prodotto di questo tipo potrà essere giocato più volte prima di stufare. Ma questo fenomeno è più interessante per ragioni commerciali che semiotiche.
 

2.2.2 La costruzione dei mondi 3d

Tramite gli editor di mondi 3d si è reso possibile all’utente costruire i propri livelli e le proprie avventure, per non limitarsi a smettere di giocare una volta esaurite le possibilità narrative; questo ha portato alla distinzione tra un determinato gioco e il motore 3d implementato, che viene comunemente sfruttato per differenti giochi.
Il motore 3d ci fornisce le possibilità di costruire mondi ammobiliati con oggetti di forme molto diverse; l’evoluzione dei motori 3d li rende in grado di sfruttare sempre meglio le possibilità di calcolo offerte dall’evoluzione dei processori. Essi manipolano un numero sempre maggiore di poligoni, per simulare forme sempre più complesse e realistiche. Questo diventa un tratto essenziale dell’effetto di realtà di una animazione 3d, come pure il calcolo dell’illuminazione da uno o più punti-luce, per la creazione delle ombre e per rendere la tridimensionalità degli oggetti. I disegnatori di mondi ammobiliano il mondo di forme che hanno creato tramite l’utilizzo di texture, che simulano la materia (legno, vetro, acqua…). In realtà vorremmo proporre un concetto più generale di "texture" rispetto alla pura definizione di proprietà grafiche, poiché possiamo considerare texture anche semplicemente una serie di proprietà che definiscono l’interazione sintattica tra oggetti e tra oggetto e avatar. In questo caso un oggetto può avere anche proprietà "sonore", riflettendo il suono generato dall’avatar e da altri oggetti in un modo (come un arazzo) o in un altro (come una parete di roccia); ancora, una parete può essere scalabile oppure no, ecc.

2.2.3 La costruzione dell’avatar.

Ritorniamo al fenomeno che avevamo notato all’inizio, ossia al debrayage che sottolinea alcune particolari situazioni della storia. Il punto di vista cessa di essere quello dell’avatar, il che consente una visione dell’avatar stesso nel mondo 3d. Ciò ha portato rapidamente alla possibilità di scelta tra vari avatar nell’evoluzione di questo tipo di giochi. Una scelta in principio limitata, poi man mano sempre più complessa. Per ragioni di identificazione con il personaggio in soggettiva, era possibile operare una selezione tra avatar maschili e femminili; poi tra modelli differenti; infine, è stato possibile costruire un avatar a partire da alcuni tratti pertinenti, come il volto, la corporatura, etc. Un percorso che dalla selelezione porta alla costruzione dell’avatar. L’operazione di costruzione implica la selezione dei tratti; è stato poi possibile, tramite gli editor, disegnare tratti diversi e realizzare personaggi su misura. Il massimo grado di complessità si è avuto nei giochi in modalità multiplayer, dove è possibile selezionare modelli fisici, e scegliere tra skin differenti: selezionare delle forme, e poi applicare loro diverse texture per simulare la materia. Dunque a partire da una forma del corpo grossomodo umanoide e femminile, scegliere se avremo a che fare con una umana, una cyborg, un robot; e poi decidere per un particolare colore dei capelli, degli occhi, della pelle, un vestito (o un corpo nudo) etc.Come si costruisce un avatar, passo dopo passo?
1) Si seleziona un phisic model. Un modello di corpo, una forma composta essenzialmente di poligoni.

In questo esempio vediamo due phisic model "Marine" e "Crash")
La figura che riportiamo può generare confusione, perché i phisic model sono visualizzati portandosi appresso determinate skin (di default). Non è infatti possibile per l’interfaccia — come per il motore di animazione — mostrare forme svincolate dalla "materia simulata". Di queste impossibilità ci occupiamo nel terzo capitolo, perché sono indispensabili all’effetto di realtà che ci preme indagare.

2) Si seleziona una skin, ossia la testura di massima che ricopre la forma del phisic model.

Qui vediamo due skin diverse dello stesso phisic model, ossia Female soldier).

3) Si seleziona una variante permessa tra le testure di quella skin, relativa ancora una volta al viso, al colore dei capelli, della pelle, del vestito etc.

Stesso modello, Female commando, stessa skin, ma con colori e faccia diversi).

Ne segue che L’avatar è una compenetrazione tra forma e "materia simulata". Una skin è una classe di varianti materiali; questa morfologia prevede una doppia sintassi, che regola la compenetrazione forma/ "materia simulata" da un lato, e i rapporti parte/tutto (volto/pelle/divisa) dall’altra. Ecco lo schema:

Morfologia

Sintassi

1) Forma: Phisic model

a) Forma / "materia simulata"

2) Materia Simulata: Skin Varianti (volto/pelle/divisa)

b) Rapporto tra le parti (volto/pelle/divisa)

E’ possibile una obiezione a questa proposta: nella costruzione dell’avatar, la scelta tra le skin è vincolata a quella di un determinato Phisic Model. Dunque, tra i due si viene a creare un rapporto in cui la skin è elemento della classe costituita dal Phisic Model. Oppure possiamo vedere il Phisic Model come genere, la Skin come specie. Se ci siamo messi in questa situazione è perché l’avatar costituisce solo un caso particolare di una regola più generale del mondo simulato, in cui gli oggetti "contraggono" una determinata texture: l’oggetto dalla forma di una lastra, o quello dalla forma di un tavolo, ecc. possono contrarre entrambi la testura del "vetro", o del "legno", ecc. Accogliendo — mentre scrivo queste righe - un suggerimento di Giampaolo Proni (comunicazione personale), la logica di questa grammatica può essere estesa a quella del design degli oggetti in generale:
<< si può dire anche per automobile e carrozzeria, e quasi per ogni oggetto di design. Anzi, il senso filosofico del design è proprio il rifiuto della logica 'macchina VS skin' intesa come servitù della skin (in questo caso carrozzeria) nei confronti della macchina o apparato interno, insomma il designer come stilista, con il corollario del 'restyling', ovvero mutamento della carrozzeria a scopo di rinnovamento solo esteriore del prodotto. Il design nasce proprio come tentativo di legare la forma alla funzione e non alla realizzazione della funzione in un apparato. >> La skin assomiglia effettivamente ad un vestito, <<che deve soddisfare alcuni parametri del corpo con la differenza che uno stesso abito può però calzare diversi corpi>>.
Diversi, ma non tutti, se pensiamo agli abiti delle sfilate. Ciascun abito prevede un modello di manichino come una serie di condizioni formali, che diversi manichini empirici possono soddisfare o meno. Riprendiamo quindi la distinzione tra Lettore Modello e Lettore Empirico di Eco (1979), con la differenza che il manichino di cui parliamo, il Phisic Model, è nel nostro caso una istanza installata nel testo, un "indossatore simulato" di skin.
Anche la scelta di una determinata "voce" dell’avatar rispecchia la differenza tra forma e materia, pur non consentendo mai all’utente di "udire" la forma senza materia. Ad esempio, possiamo scegliere tra una serie diversa di voci "femminili", le quali hanno la caratteristica formale di essere più acute rispetto a quelle maschili, e quella materiale di essere ciascuna contraddistinta da un timbro diverso, che evidentemente simula le proprietà materiali della cassa toracica virtuale del nostro avatar.
Che vi sia una simulazione della materia è essenziale perché l’avatar come segno abbia una sostanza simulata, perché possa avere un effetto di realtà, ossia perché possa venire interpretato come coerente al mondo simulato. Come abbiamo visto, infatti, anche il mondo simulato, infatti, è costituito da forme poligonali "ricoperte" da testure, che simulano la materia (vetro, acciaio, plastica, mattoni…).

Ora, esistono disegnatori di skin e di phisic model che creano caterve di personaggi. Esistono siti che li raccolgono e da cui l’utente può scaricarli gratuitamente. Ci sono pratiche di collezionismo che vanno ben oltre il piacere di giocare con un avatar in cui ci si possa identificare il più possibile. Infatti, una volta che sia data la possibilità di selezionare (o fabbricarsi ex-novo) un determinato tipo di mondo, e di popolarlo con i personaggi più graditi — facendoli interpretare dal computer — ciascuno può in termini pragmatici costruirsi il proprio mondo dei sogni e abitarlo — o il proprio incubo, se necessario.

2.3 Dal singleplayer al multiplayer

A questo punto possiamo passare all’analisi di quel che succede in un 1st person shooter giocato in multiplayer in rete, sia essa internet o una rete locale.

I giochi in modalità single-player permettevano anche il loro impiego in modalità multiplayer nella rete. Il successo di questi ha portato molti utenti a sviluppare quelli che in gergo si chiamano "mod", ossia modalità di gioco differenti, che utilizzano tipi di schemi diversi, in cui è consentito il gioco a squadre, la divisione dei compiti, o in cui ciascuna squadra deve perseguire un obiettivo particolare, etc. Questo ha portato alla nascita di Qauke III e del suo concorrente Unreal Tournament, che abbandonano del tutto l’idea del single-player. Nei fatti, non esiste più l’idea di una missione da compiere attraverso un percorso che passa attraverso diversi livelli, ma semplicemente una serie di arene 3d in cui i giocatori combattono tra di loro. Tra tutte le modalità permesse, quella che prendiamo in esame è il deathmach. In questo tipo di gioco, ciascun giocatore ha l’obiettivo di sparare a tutto quel che si muove; chi totalizza per primo un certo numero di vittime, vince. Il giocatore morto si reincarna e ricomincia a giocare, perdendo tutti i bonus acquisiti nel corso del gioco; il giocatore che si autoelimina viene sanzionato: il numero di vittime totalizzato scende di una unità. Ci sono poi diverse varianti del deathmach, ma non le prendiamo in esame, soffermandoci piuttosto sulle caratteristiche della regia-web e del montaggio-web che ci interessano.

2.3.1 L’avatar del multiplayer

In primo luogo, prendiamo in considerazione l’avatar. Il gioco porta al massimo grado di differenziazione le possibilità di caratterizzazione del proprio avatar, sicché ciascun giocatore possa avere una propria individualità e riconoscibilità da parte degli altri. La visione è quasi sempre soggettiva, per cui il fatto di vestire elettronicamente un avatar diventa un fatto di travestitismo elettronico (cfr. De Maria — Mascio 2000). La manipolazione, più legata al 3rd person shooter, diventa interessante quando un giocatore vince: la prospettiva è debrayata, e il giocatore può "esultare" tramite una serie di mosse, ad esempio salutando, o tramite una serie di movimenti pelvici, o altro ancora. L’unica cosa che preme notare è la grandissima quantità di skin femminili consentite e distribuite gratuitamente in rete rispetto a quanto notavano appena due anni fa Cristina De Maria e Lella Mascio, e come anche esse abbiano seguito il destino delle eroine del 3rd person shooter, scatenando fenomeni di collezionismo, e — ancora — quanto esse siano solo involucri completamente vuoti e privi di quel minimo di personificazione rispetto a personaggi come Lara Croft, per i quali esistono fan-club in rete. Invece, è interessante come la nota porno-star Asia Carrera abbia distribuito alcune skin che la ritraggono, accompagnate da un documento in cui assicura di essersele fatte da sé.

Una skin di Asia Carrera — tra le più caste)

2.3.2 L’interattività tra giocatori.

Ritorniamo ora alla definizione di interattività che abbiamo già introdotto, prendendola in prestito da Zinna: abbiamo detto che la narratività è consentita da un punto di arresto nell’ipertesto, in cui un comando consente all’utente un avanzamento. Confrontiamo ora questa definizione con quella fornita da Manetti (1998), per il quale la comunicazione interattiva non avviene tra due soggetti reali effettivamente compresenti in uno spazio condiviso; "avviene piuttosto in una sorta di interspazio di natura simbolica, visualizzato su di uno schermo. Le immagini sullo schermo costituiscono un testo che porta le tracce di un enunciatore e di un enunciatario. (...) l'interazione avviene con dei significanti visualizzati, e lo stesso utente viene ad assumere una sorta di "corpo simulacrale" che gli è fornito dagli strumenti di interfaccia" Abbiamo già visto come l’avatar sia a tutti gli effetti una interfaccia che consente all’utente l’interattività con il mondo 3d che lo circonda.
Non ci pare che le due definizioni siano in contrasto, perché la prima definisce semplicemente una serie di proprietà effettivamente presenti nella struttura del testo interattivo, mentre la seconda si concentra cognitivamente sul modo in cui l’utente fruisce dell’ipertesto. Può suscitare perplessità il fatto di considerare i giochi come ipertesti, a causa della definizione tradizionale di ipertesto come scrittura non sequenziale - testo che si dirama e consente al lettore di scegliere sì differenti percorsi, ma determinati (cfr. Landow 1985). Nel caso del gioco il processo di navigazione è legato ad una logica di orientamento nello spazio, che porta in misuara variabile ad una certa impredicibilità dei percorsi. Ma da un lato preme osservare che, da un punto di vista della logica narrativa profonda del racconto in termini di funzioni narrative, la struttura dei giochi single player 3d è sostanzialmente rigida quanto quella di un testo tradizionale, ancor prima che ricordare un ipertesto. In secondo luogo, per ciò che riguarda il multiplayer, tutte le scelte possibili dei giocatori nel definire strategicamente la loro interazione, sono comunque previste dalla programmazione, anche se non inserite a priori in alcuni limitati schemi narrativi. Nel multiplayer 3d ci si svincola dalla narratività: ciascun giocatore costruisce la propria narratività come soggetto, in opposizione agli altri giocatori. Vi è dunque una sorta di relativismo narrativo. Resta il fatto che la definizione di Landow, è legata a doppio filo con la narratività tradizionale, in cui le funzioni narrative e i percorsi possibili sono stabiliti da un testo (anche se iper-), e non da una interazione tra utenti installati nella narrazione e in lotta per realizzare i propri programmi. Proprio per questo proponiamo di adottare la definizione di ipertesto di Zinna: un tradizionale files nei quali è innestato un sistema di comandi. Ad un certo punto è necessario che l'utente dia un comando, o l'ipertesto non procede. Il caso dei giochi in 3d implica che l'azione di dare comandi sia durativa, o l'avatar non procede nella navigazione. Crediamo che il vantaggio della definizione di Zinna consista nell'essere abbastanza laica nei confronti della narratività tradizionale da cogliere alcune novità degli ipertesti in quanto sistemi interpretabili come narrativi in senso relativistico, ossia nel senso detto per il quale ciascun utente si considera soggetto nel proprio sistema di riferimento, portando avanti il proprio programma narrativo. Detto questo, resta da spiegare, posta la distinzione tra spazio reale e interspazio simbolico, l’effetto di realtà del 3d sull’utente. Nel caso di del gioco in internet, ci aiutano una serie di fenomeni limite che possono accadere durante una sessione di gioco.

2.3.3 La "temporalità interna" dell’avatar.

Cominciamo dal definire l’avatar come elemento morfologico presente dentro agli ipertesti 3d. Secondo la proposta teorica di Zinna, gli elementi si distinguono in "segmenti", i quali non hanno una temporalità interna (ad esempio un qualunque bottone grafico, o una linea separatrice in una pagina web) e "sequenze", che hanno una temporalità interna (ad esempio un filmato, o un brano musicale in Quick-time in internet).

Entrambi gli elementi sono poi in movimento oppure no. Detto questo, un avatar è sicuramente qualcosa che si muove nel mondo 3d; la sua temporalità tuttavia coincide con quella del mondo 3d? Ci sono casi limite in cui non coincide, come mostreremo. Il suo statuto oscilla tra coincidenza e non coincidenza. Ci spiegheremo meglio in seguito.
Un altro elemento non convincente della classificazione di Zinna è il fatto che l’avatar, a differenza di quel che accade con un tradizionale segmento o sequenza di una pagina web, è sì qualcosa che si modifica in relazione a ciò che avviene nell’ipertesto, ma contribuisce attivamente a modificare il testo intorno a lui, e le sue configurazioni (come si muove, che arma usa, etc.) dipendono dal modo in cui interagisce con il resto del mondo 3d.

Gli avatar altrui possono modificare il nostro, o per lo meno provarci. Possono "vederci" anche quando noi non li vediamo, assalirci alle spalle, etc. Una grande complicazione che ci costringe ad introdurre il concetto di sistema di riferimento.

2.3.4 Sistema utente e sistema di riferimento semiotico.

Come funziona una sessione di gioco in Internet? Ciascun utente ha a casa un motore 3d e una collezione di schemi e avatar standard. La sua copia del gioco è a tutti gli effetti un browser, nel senso che segue la logica internet di economizzare al massimo il flusso di dati della rete. Tutti gli utenti si collegano ad un unico server, il quale teine conto di tutto quel che gli arriva dagli utenti (posizioni, movimenti, armi selezionate, traiettorie dei colpi ecc.) e li rimanda a cascata a tutti gli altri utenti.
A questo punto diventa cruciale comprendere come il server sia effettivamente il sistema di riferimento comune a tutti gli utenti: è il server che stabilisce ciò che è vero, ciò che accade davvero nel mondo 3d. Il mondo 3d è sul server. Per convincersene, dobbiamo considerare il PING.

All’atto di connessione, ciascun utente ha un elenco di server cui è possibile collegarsi; è specificato il numero di utenti connesso, il numero massimo di utenti consentito, qual è l’arena (il mondo 3d) attualmente giocato in ciascun server, una serie di informazioni aggiuntive sulla modalità di gioco, e un numero, il PING. Questo numero ci fornisce una serie di indicazioni: stabilisce una distanza tra il nostro PC domestico (client) e il Server, ci dà una indicazione sulla lentezza con cui ci arrivano i dati, e ci parla del ritardo tra quel che vediamo accadere sul nostro PC domestico e quel che è nel frattempo successo nel server. Ecco che abbiamo un secondo sistema rispetto a quello del Server, ossia quello del nostro PC domestico. Il ritardo dovrebbe essere il più basso possibile, questo è essenziale. Vediamo altrimenti cosa può succedere: può darsi che l’avatar avversario, che dobbiamo colpire velocemente prima che ci elimini dal gioco, non sia già più lì dove lo vediamo, ma si sia già spostato, e l’informazione non sia arrivata ancora fino a noi, nel nostro sistema di riferimento. Ancora, è possibile che qualcuno ci abbia colpiti ed eliminati nel sistema di riferimento del server, ma che l’informazione non sia ancora giunta a noi, che nel frattempo continuiamo a credere di essere vivi e perfettamente funzionanti nel nostro sistema di riferimento domestico. Ecco perché si tende ad utilizzare PING bassi: per far coincidere il più possibile il nostro sistema di riferimento spazio-tempo e quello del server, che definisce esattamente e normativamente quel che è vero e quel che non è vero nel mondo 3d. Ecco perché sosteniamo che il nostro avatar, o meglio che tutti gli avatar sono dotati di una temporalità interna, che tende a coincidere con quella del sistema di riferimento del server.

Potremmo pensare che i sistemi di riferimento siano semplicemente spazio/temporali, ma in realtà sono tout-court semiotici. Infatti, l’avatar dell’avversario sul nostro schermo è effettivamente il segno di presenza ed esistenza nel mondo 3d di riferimento. Nel caso non sia effettivamente lì — nel sistema di riferimento del server — è un segno mendace (e in questo senso ha un grande interesse semiotico, essendo la semiotica interessata a tutto quel che può essere usato per mentire, secondo la nota definizione di Eco 1975). All’illusione di colpire l’avversario segue —quando notiamo la mendacia del segno — un senso di de-realizzazione: l’effetto di realtà cessa del tutto, il gioco diventa impossibile. Per ricollegarci a quanto sostenuto da De Maria e Mascio (2000), << Sia nei giochi in terza persona che in quelli in prima persona (vale a dire quando il giocatore sceglie un personaggio ed entra nel gioco con quel ruolo), non vi è riconoscimento dello spettatore: l'utente non è percepito o riconosciuto dagli altri personaggi, ma diviene egli stesso una figura del gioco>>. L’avatar è dunque un segno.
Una proprietà degli oggetti pare dunque quella di mostrare la propria esistenza (in un mondo x, anche in quello reale, in fondo). Anche nel mondo reale, sotto certe condizioni, possiamo essere vittime di illusioni percettive — visive, uditive — e alla disillusione segue un effetto di de-realizzazione, ben noto a chi si interessa di malattie psichiatriche. Il mondo reale potrebbe essere un caso in cui il sistema segnico e quello di riferimento sono sovrapposti? Non ci interessa dirlo. Ma nel caso dei giochi 3d i due sistemi possono coincidere: quando giochiamo a Unreal tournament in modalità single player, gli altri giocatori sono simulati da Bot, altrettante intelligenze artificiali che muovono i rispettivi avatar: sistema server e client coincidono.

3.0 Ontologia della realtà virtuale.

Ricapitoliamo tutto quel che siamo venuti dicendo qua e là nel corso di questo scritto in maniera un po’ frammentaria, recuperando quel che ci interessava fin dal principio, ossia l’effetto di realtà dei mondi 3d e le sue caratteristiche.

3.1 Mondo reale e mondo 3D.

In primo luogo, vorremmo recuperare una considerazione di carattere metasemiotico da Bettetini (1996).
<<(…) la storia dell’espressione umana (…) si è sempre divisa tra due progetti fondamentali: quella di riprodurre, per mezzo di segni materialmente diversi dall’oggetto lo stesso oggetto destinato alla rappresentazione, e quello di rappresentare, invece, le possibilità di autonomia dei segni e dei linguaggi che li strutturano, per produrre significati solo in qualche modo motivati dagli oggetti o addirittura da essi indipendenti>>.
Ecco che immediatamente abbiamo una obiezione nei confronti di questa dicotomia radicale: l’effetto di "realtà" rappresentato dai mondi 3d non è necessariamente qualcosa che ha a che vedere con la realtà nel nostro mondo. I mondi 3d possono essere radicalmente differenti dai nostri, ad esempio quanto a leggi fisiche, e consentono all’utente una regia che consente loro di "debrayarsi" dal proprio rappresentante - interfaccia nel mondo 3d, che abbiamo chiamato avatar. Come abbiamo visto per Active Words, possiamo far volare il nostro avatar sottraendolo alla forza di gravità, o dare una occhiata al mondo tramite oggettive irreali lasciando l’avatar in qualche luogo, magari continuando a chattare con un altro avatar. In Unreal Tournament posso caricare sei razzi in un RPG e far fuoco su una parete, la quale non verrà distrutta, perché non c’è modo di distruggerla. Nel punto dell’impatto verrà "stampata" una texture che simula le tracce dell’esplosione. Esistono naturalmente giochi che puntano ad un realismo totale, ma per indagare le condizioni dell’effetto di realtà è ovviamente più opportuno occuparsi del caso più irrealistico — costituito appunto dalle arene fantascientifiche di Unreal Tournament. Lo statuto del mondo 3d oscilla comunque tra le due possibilità date da Bettetini, i quali divengono casi estremi che consentono una serie di situazioni intermedie. Comunque sia, la rappresentazione fedele del nostro mondo, non pare essere così essenziale all’effetto di realtà.

3.1.1 Il segno e l’oggetto

Abbiamo messo le mani avanti per evitare che si possano trarre conclusioni affrettate dall’analogia tra illusione/derealizzazione nel mondo 3d e nel nostro mondo. Quando abbiamo notato alcune proprietà degli oggetti simulati sembrano valere anche per gli oggetti reali del mondo, volevamo alludere ad alcune caratteristiche "logiche" di tali oggetti considerati come segni.
Una caratteristica importante del segno è che il rimando al proprio oggetto deve essere possibile in absentia dell’oggetto stesso:
<<Perché l’antecedente diventi segno del conseguente occorre che l’antecedente sia potenzialmente presente e percepibile mentre il conseguente deve essere necessariamente assente: infatti, se vedo il fumo che sorge dalle fiamme, non ho alcun bisogno di eleggerlo a segno del fuoco>> (Eco 1985).
Ora, nel caso del rapporto tra sistema segnico (client) e sistema di riferimento (server) abbiamo notato come effettivamente le due cose siano distinte, tant’è che io non posso sapere cosa accade nel sistema di riferimento se non tramite i segni che ho nel sistema segnico. Ciò porta ad una seconda proprietà dei segni:
<<(…) il conseguente, come causa remota, può non sussistere più materialmente nel momento in cui interpreto il segno (si vedano le tracce, le impronte, magari di animali preistorici>> (sempre Eco 1985).
Nel caso del rapporto client/server, con PING alto, il segno passa dall’indicare una presenza nel sistema di riferimento, a testimoniare un passaggio: l’avversario che vedo "lì" è effettivamente "passato di lì", ma se inferisco che sia "ancora lì" mi inganno.
Nel caso della realtà, potremmo postulare kantianamente che tutti gli oggetti siano segni nel sistema segnico fenomenico di qualcosa che realmente c’è — o c’è stato — nel sistema di riferimento noumenico. Ovviamente è innanzitutto possibile rigettare completamente questa visione da un punto di vista filosofico. Si può ad esempio sostenere che non ci sia nessuna metafisica noumenica distinta dalla realtà fenomenica. Oppure è possibile sostenere che la realtà noumenica è assolutamente inconoscibile, negando che vi sia alcun rapporto di rinvio tra fenomeno e noumeno. Ancora, se la decisione circa la coincidenza dei due sistemi diventa rilevante solo nei casi di illusione/derealizzazione, ci troviamo in questi casi di fronte ad un segno mendace, o semplicemente ci inganniamo nell’interpretare determinate cose come segno di esistenza e presenza effettiva? Non ci interessa rispondere a queste domande. L’analogia che abbiamo tessuto voleva semplicemente dir questo: è importante per l’effetto di realtà che i segni — con cui abbiamo a che fare nel mondo 3d — abbiano una proprietà in comune con gli oggetti del mondo reale (che possono non essere affatto segni), ossia il fatto di sembrare effettivamente esistenti nel sistema di riferimento. I mondi 3d sono ipertesti che costituiscono un sistema di riferimento e un sistema di segni, impiegato dall’utente per manipolarlo. Il sistema di segni è una interfaccia o una gerarchia di interfacce comprendenti un avatar, su cui gli elementi che costituiscono il sistema di riferimento possono retroagire modificandolo. Il tipo di segni che costituiscono il sistema client predicano l’esistenza dell’oggetto cui si riferiscono nel sistema di riferimento.

3.1.2 Uno sguardo peirceano alla simulazione

Può essere interessante cercare la posizione di questo tipo di segni nella nota classificazione proposta da Peirce: i segni di cui parliamo sembrano essere (ma non sono: simulano) sinsegni indicali dicenti. Un sinsegno è una cosa o un evento effettivamente esistente che è un segno, e ne abbiamo esperienza tramite le sue qualità (cfr. Proni 1990, pp.238-265). Ma l’effettiva esistenza dei segni di cui parliamo è relativa al mondo 3d, non al mondo reale. E’ una esistenza simulata, come quella dell’oggetto cui il nostro sinsegno simulato si riferisce, che esiste solo nel sistema di riferimento. Per questo il nostro segno simula di essere un indice del proprio oggetto esistente (nel sistema di riferimento del mondo 3d, ovviamente). Tutto ciò fa sì che esso simuli un dicisegno, ossia un segno che viene effettivamente interpretato come reale. In realtà, molto banalmente, i segni che simulano di essere sinsegni indicali dicenti lo fanno in virtù di un sistema di convenzioni e di leggi che reggono il funzionamento della funzione segnica simulata: sono legisegni (segni che sono leggi) simbolici (in quanto si riferiscono in virtù di una legge al proprio oggetto - che altro non è se non il sinsegno indicale dicente simulato). E sono argomentali, perché per l’interpretante sono segni di leggi (interpretarle come tali è esattamente quel che stiamo facendo, del resto). Confrontiamo questo con quanto detto da Proni (1990):
<<L’argomento fa quasi "classe a sé", perché è l’unico tipo di segno il cui oggetto è un Segno o rappresentazione>>
E, per capire come funzionano queste leggi:
<<Una tale espressione equivale ad una formula di tipo "se…allora…" (…) L’argomento comprende un simbolo dicente (o una serie di essi, è uguale) detto Premessa>>
Anche la conclusione è parte dell’argomento, <<perché è essenziale alla piena espressione dell’argomento>> e, guardacaso, <<la replica di un argomento è un sinsegno dicente>>: nel nostro caso, ogni sinsegno dicente simulato è replica della legge di simulazione. Schematizziamo la situazione:

Nello schema:
X è il sistema dei segni simulati (sinsegni);
Y il sistema dei riferimenti simulati;
Z il sistema delle leggi di simulazione.
Z, in quanto grammatica degli avatar e dei mondi, istituisce X; in quanto legge del mondo simulato istituisce Y; in quanto metasemiotica regola la corrispondenza segnica X-Y.
L’istituzione di meccanismi di tipo se-allora costruisce un sistema di regolarità, che rende possibile all’utente interpretare il mondo simulato nei termini di causa-effetto. L’utente si aspetta che se l'avatar si muoverà in avanti fino a cozzare contro un muro, allora si fermerà senza potere attraversarlo, o che se gli verrà a mancare il terreno sotto i piedi allora cadrà inevitabilmente in basso - e che se il salto avverrà da troppo in alto allora finirà per farsi male o morire, o che ogni volta che finiscono le munizioni udirà il "click" dell’arma che ha in mano, o che ogni volta che un avversario lancerà un razzo colpendo un muro cui il proprio avatar è adiacente, subirà gli effetti dell’onda d’urto, ecc. ecc.
Da tutto quel che si è detto, si evince a maggior ragione che il mondo 3d non costituisce affatto una semplice rappresentazione, definita da Bettetini come riproduzione <<per mezzo di segni materialmente diversi dall’oggetto lo stesso oggetto destinato alla rappresentazione>>. Il mondo 3d costituisce invece un caso particolare di rappresentazione delle <<possibilità di autonomia dei segni e dei linguaggi che li strutturano, per produrre significati solo in qualche modo motivati dagli oggetti o addirittura da essi indipendenti>>: un caso particolare in cui un sistema di leggi simulano non il mondo reale, ma una funzione segnica tipica del mondo reale. Appare ancora una volta evidente il carattere ‘meta’ del mondo 3d in quanto ipertesto.

3.2 Il mondo 3d come ‘luogo’

Molto più interessante del rapporto mondo 3d/mondo reale è invece l’idea di lavorare su quella che — come abbiamo notato fin da subito - sembra una caratteristica essenziale della comuncazione interattiva, ossia il senso di "località". Cosa è un luogo? Seguendo un suggerimento dato da Volli al convegno di S.Marino cui abbiamo fatto troppe volte riferimento, recuperiamo la distinzione impiegata in Deleuze e Guattari (1995) tra spazi lisci e spazi striati.

3.2.1 Spazio e luogo.

In realtà il concetto di Spazio liscio e striato è indagato, assai prima che da Deleuze e Guattari, in Boulez (1963), traendo le mosse dal continuum:

<<Mi sembra primordiale definire, prima, il continuum (…). Il continuum si manifesta secondo la possibilità di tagliare lo spazio secondo certe leggi; la dialettica fra continuo e discontinuo passa dunque attraverso la nozione di taglio; arriverei perfino a dire che il continuum è questa possibilità stessa perché contiene insieme il continuo e il discontinuo>>.
Gli spazi striati sono quelli in cui il taglio è eseguito secondo un modulo regolare, mentre gli spazi lisci non offrono alcun appiglio, perché il taglio interviene liberamente e irregolarmente. Ma non è questo il punto che ci interessa, quanto piuttosto:
<<Più il taglio diverrà sottile, tendendo verso un epsilon della percezione, più si tenderà verso il continuo propriamente detto, essendo questi un limite, non soltanto fisico ma prima di tutto fisiologico>>.
Nonostante sia più che evidente come Boulez si riferisca prima di tutto agli spazi sonori, Deleuze generalizza queste proprietà agli spazi tout court:
<<Lo spazio sedentario è uno spazio striato, da muri, recinti e percorsi tra i recinti, mentre lo spazio nomade è liscio, marcato soltanto da "tratti" che si cancellano con il tragitto>>.
Sarà anche così, ma a quanto pare una caratteristica imprescindibile dello spazio è il fatto di venire sempre in qualche modo "tagliato". Nel caso del nomade, si tratta di un taglio effettuato da chi lo percorre, una caratteristica imprescindibile per definire in qualche modo, anche impreciso, un "qui": il grado zero della località. Di più, nella regione di spazio all’interno di un recinto, che è a tutti gli effetti un luogo, sono comunque possibili percorsi nomadici, se consideriamo i limiti del recinto come non solo a tutti gli effetti invalicabili, ma anche tali da rendere impossibile a chi nel recinto è contenuto la conoscenza dell’esistenza di un qualsiasi ‘altrove’. Se sono in un carcere, sono a conoscenza di un mondo esterno e della possibilità di valicare i muri per accedervi; d’altronde, se il mio carcere è il mio universo e i muri sono le leggi fisiche, io sarò perfettamente libero al suo interno. Anche il mare, che piace tanto a Deleuze come esempio di spazio liscio, non ammette deroghe alla legge di gravità che impedisce alle navi di alzarsi in volo. Dunque ecco la caratteristica di qualunque luogo: quella di essere ingabbiato, in modo che la libertà di chi lo percorre sia compressa, definendo molto bene un campo di possibilità — in questo caso di movimento — da un campo di impossibilità. Le possibilità di diversi tragitti, per quanto infinite, sono comunque de-finite. In effetti, è buon senso pensare che non esista libertà assoluta, in cui qualunque cosa è possibile: la definizione dell’impossibile è dunque connessa strettamente a quella di libertà. La libertà dunque è un fenomeno locale.
A questo punto, ecco una caratteristica del mondo 3d interessante: si tratta a tutti gli effetti di un luogo, ed è tale sia perché prevede dei percorsi al proprio interno, sia perché ha dei confini e delle leggi certe: i muri di un mondo 3d non possono essere attraversati, le proprietà che definiscono l’interazione utente-mondo non possono essere violate — a meno di un errore nel design del mondo 3d, con conseguente senso di de-realizzazione.
A quanto pare, anche l’effetto di realtà del mondo 3d dipende dunque dal possedere una propria ontologia, che nei termini di Eco (1997) possiamo considerare come linee di resistenza dell’essere.

3.3 E' solo un gioco?

Ci si potrà legittimamente chiedere quanto le leggi che abbiamo enunciato valgano in senso ristretto ai soli giochi 3d. Ad esempio, è abbastanza chiaro che dovremo distinguere tra le simulazioni che mirano al realismo in termini di verosimiglianza, e a quelle che mirano al realismo nel senso di verità. Le seconde puntano alla costruzione di sistemi di segni la cui manipolazione rende possibile prevedere gli effetti di manipolazioni simili sul mondo attuale, non solo su quello possibile della simulazione. Accogliamo in questo una obiezione utile di Davide Gasperi (comunicazione personale). Per ciò che riguarda il riferimento, allora, è vero che negli ipertesti tradizionali, ci si imbatte più spesso in indici che in simulazioni di indici - il che non esclude, chiaramente, che vi sia una speculazione metasemiotica sul funzionamento segnico degli indici e che essa divenga legge, ad esempio, nei sistemi di compressione delle immagini. Ma restano indici, non indici simulati, perché puntano a qualcosa che esiste nel mondo attuale; ad esempio, un'eventuale riproduzione di un quadro in un museo virtuale non simula in maniera indicale qualcosa che sembra esistere nel server, punta invece ad un quadro che sta nel mondo reale. E tuttavia sosteniamo che non vi sia una reale dicotomia tra vero e verisimile, nel senso che il vero è un caso particolare del verosimile. Questo ci serve solo a sottolineare come una simulazione non simula "ingenuamente" o "banalmente" il mondo reale. Simula il funzionamento che determinati sistemi di segni hanno nel mondo reale. Comporta insomma sempre il fatto di costruire delle leggi di simulazione, comporta sempre un aspetto metasemiotico. Il realismo è in tutti i casi un fenomeno segnico, non ha a che vedere necessariamente con l'imitazione di qualcosa di reale. Posso immaginare un museo virtuale 3d credibile, verosimile, che contenga tutti i quadri del louvre, ma che non ha a che vedere né con il louvre, né con alcun edificio realmente esistente. Il fatto che poi se ne costruisse davvero uno identico nel mondo reale, non renderebbe il mio segno "più verisimile". Ancora, possiamo chiederci se il nostro museo debba essere un edificio che segua leggi fisiche, tale che se fosse effettivamente realizzato starebbe in piedi? La risposta è no: quando mai l'utente se ne potrebbe accorgere? Invece, ne posso pensare uno che stia sospeso nello spazio, che accanto ai quadri abbia finestre che danno sui deserti di Marte e contemporaneamente sui cieli di Giove e sarebbe realistico per l'utente senza aver nulla a che fare con la realtà. Un edificio che sarebbe un'intercapedine tra mondi possibili lontanissimi tra loro o semplicemente non attuali.

Conclusioni metasemiotiche

La simulazione non simula il mondo reale. Simula tramite leggi che sono segni il modo di funzionare dei segni che costruiscono l’effetto di realtà, rendendo il modo 3d interpretabile come "reale". Simula dunque una proprietà di alcune semiotiche indicali istituendo l’effetto di senso dell’accidentalità.
la presenza di un sistema di leggi ha le seguenti funzioni:
- impedire l’onnipotenza dell’utente, delimitandone le possibilità
- di istituire un sistema di regolarità simulando i rapporti di causa-effetto
- di regolare l’intermanipolabilità tra gli oggetti del mondo, tra gli oggetti e gli avatar, tra gli avatar (in una parola, tra tutti gli enti del mondo simulato)
- di istituire il senso di località tramite il taglio del continuum.
La simulazione si pone dunque come fenomeno di carattere metasemiotico, in quanto simula la funzione dei segni che sono alla base dell’effetto di realtà, e costituendo contemporaneamente una metafisica del mondo simulato.


Francesco Galofaro

Bibliografia

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1996 L’audiovisivo dal cinema ai nuovi media, Bompiani, Milano.
 
Bolla, L. e Cardini, F.
1997 Macchina Sonora, la musica nella televisione italiana, VQPRT, RAI-Eri, Roma
 
Boulez, P.
1963 Penser la musique aujour d’hui, Schott’s Söhne, Mainz (tr.it. Pensare la musica oggi, Einaudi, Torino, 1979).
 
Casetti, F.
1986 Dentro lo sguardo, il film e il suo spettatore, Bompiani, Milano.
 
Deleuze, G. e Guattari, F.
1995 Nomadologia, Castelvecchi, Roma.
 
De Maria, C. e Mascio, L.
2000 "Sotto al vestito niente. Alcune riflessioni a partire da Lara Croft e le sue sorelle", in Ocula, n. 0, www.ocula.it/00/cd-lm_00.htm.
 
Eco, U.
1975 Trattato di semiotica generale, Bompiani, Milano.
1979 Lector in Fabula, Bompiani, Milano.
1985 Sugli specchi e altri saggi, Bompiani, Milano.
1997 Kant e l’ornitorinco, Bompiani, Milano.
 
Landow, G.P.
1985 Ipertesto, il futuro della scrittura. Baskerville, Milano.
Manetti, G.
1998 La teoria dell’enunciazione, Protagon, Siena.
 
Proni, G.
1990 Introduzione a Peirce, Bompiani, Milano.
 
Zinna, A.
2001 Les objets et leurs interfaces. Textes et hypertextes : décrire et comparer les nouveaux phénomènes de sens, Mémoire HDR (Abilitazione a Dirigere Ricerche)