Ocula zero, dicembre 2000

Sotto al vestito niente.
Alcune riflessioni a partire da Lara Croft e le sue sorelle


 

di Cristina Demaria e Antonella Mascio



Lunga vita alla nuova carne
(Esclamazione pronunciata da Max Renn, con cui si conclude il film Videodrome, di David Cronenberg)

1. Premessa

Come sono fatti i videogames? che tipo di intrecci e di dinamiche propongono? quali sono i personaggi femminili che li abitano?

Il nostro scopo inizialmente era quello di investigare il mondo dei videogames a partire dalle eroine che lo animano, per costruire una vera e propria tipologia di personaggi virtuali femminili. Ma dopo i primi tentativi - con alcuni dei più famosi testi di questo mondo - ci siamo viste costrette a ridimensionare il nostro obiettivo. Quelli che seguono, dunque, sono spunti di ricerca che partono dall'osservazione di alcuni videogames. Ognuno di essi risulta composto da panorami, narrazioni, personaggi maschili e - sempre più spesso - femminili.

L'uso di strumenti semiotici ci ha permesso di segnalare una serie di elementiche meriterebbero uno studio approfondito. Pensiamo infatti che i videogames siano dei testi molto complessi e decisamente affascinanti da analizzare. In questo articolo la nostra attenzione si è concentrata soprattutto sulle virtual girls, e sulla descrizione di alcune di queste figure, delle loro identità e dei loro corpi. Ampio spazio si dovrebbe dedicare anche allo studio delle forme narrative che questi testi contengono, così come alle competenze richieste al lettore modello e al tipo di contratto o conflitto rappresentato; punti che in questa sede verranno solo accennati. Infatti la nostra proposta di analisi riguarda l'elemento che ci ha più colpito e cioè le immagini femminili suggerite da questi testi e la loro trasformazione in "sex symbols" attraverso la costruzione di quel gioco di seduzione in cui spesso gli utenti (users) rimangono coinvolti. Per avere una conferma di tale trasformazione, è sufficiente sfogliare un qualsiasi numero delle molte riviste di settore, tra cui Play Station Magazine, Game Repuplic, Tomb Raider, Super Play Station Console, ecc.; un esempio di questi giorni (dicembre 2000) è il calendario delle "cyber girls" offerto da HappyWeb (http://www.happyweb.rcs.it/).

Ci siamo dunque chieste: a quale costruzione culturale di corpi sessuati stiamo assistendo? Si può parlare di una mappa visibile del desiderio? Si può ricercare la prova digitale di un desiderio (lust) condiviso da più comunità e più culture? Proponiamo alcune direzioni di ricerca, ancora del tutto abbozzate, una serie di domande e di possibili risposte.

2. Il videogame come medium

Una prima operazione da compiere per definire meglio il complesso panorama dei giochi elettronici, riguarda la distinzione fra "videogames" e "computer games". Per giocare con i primi, è necessario utilizzare la Playstation o altre consolle di questo tipo (ad esempio Nintendo) e collegarle ad un apparecchio televisivo. I computer games, invece, sono quei giochi che risiedono nel computer. Molti di questi si trovano oggi in rete e permettono di essere giocati contemporaneamente da più utenti nello stesso momento, sfruttando quelle che sono le potenzialità di Internet: interattività e sincronia.

I videogames appartengono a categorie differenti: la logica delle azioni dei personaggi segue le regole del genere specifico a cui il gioco appartiene (adventures, horror, picchiaduro), inserendosi in un intreccio in parte predeterminato. Una prima esplorazione del campo ci ha fatto notare che le protagoniste femminili sono presenti soprattutto nei videogames. In particolare, per questa analisi, abbiamo preso in considerazione un campione di videogames in cui i personaggi femminili risultano essere i protagonisti dell'azione: il campione esaminato comprende Barbie-Dressup, Double Dragon, Final Fantasy, Kisiakae, Ms Pac-Man, Nude Raider, Prince of Persia, Resident Evil, Tekken 3, Toki Meki, Tomb Raider.

Abbiamo anche considerato la playstation come un mezzo tecnologico e interattivo, sempre più presente nell'arredamento domestico, accanto alla televisione e al computer. L'uso della playstation e l'esperienza dei videogames presuppongono l'acquisizione di una competenza di base, senza la quale risulta difficile riuscire a entrare nello schema del gioco. Va sottolineato che l'uso di strumenti tecnici (di un apparato "hardware") e di programmi specifici (i "software" dei giochi) divengono forme di intrattenimento ludico solo se adoperati da appassionati giocatori o da esperti. Al contrario, diviene frustrante entrare in contatto con queste "macchine per il divertimento" se non si è capaci di usarle. Questa prima osservazione ci ha costretto -e permesso- di cercare informazioni sui videogames utilizzando altri media. Quello che è emerso è che attorno ai videogames è sorta una vera e propria cultura (culture of play), costituita da gruppi che condividono passioni, linguaggio e abitudini. Gli appartenenti a questa cultura formano in alcuni casi comunità virtuali, riunite attorno a riviste specializzate e presenti sulla rete. I videogames quindi, oltre che una forma di intrattenimento ludico, presentano aspetti che possono far pensare al funzionamento di un medium a sé stante, capace di creare discorsi e di farli circolare.

Come scrive Abruzzese, il senso dei new media va anche ricercato nella risposta che arriva dal loro mercato. Ci sembra doveroso ricordare che "il volume di affari che sviluppa l'industria dei videogiochi supera ora quello dell'industria audiovisiva tradizionale" (Abruzzese 1999:26) e che "la qualità comunicativa dei videogiochi si avvia con ogni probabilità a essere la qualità generale delle reti telematiche, per i servizi, le transazioni economiche, il marketing, i consumi tradizionali" (ib.).

Il mondo dei videogames è un mondo piuttosto complesso, con un passato (le generazioni dei giochi precedenti), un presente e un futuro (l'entrata in scena di nuovi episodi, di nuove tecnologie e di nuovi giochi). Il proseguimento delle vicende raccontate fa sì che i fruitori dei videogames proiettino le loro aspettative ben oltre il termine di un singolo gioco. La tensione si trasferisce perciò dal piano del gioco a quello dei discorsi attorno a esso e ai suoi personaggi, dove sono le eroine ad occupare più spazio e attenzione. Il senso di questi testi non viene espresso con il singolo gioco, ma attraverso l'insieme delle configurazioni discorsive che attorno ad esso si sviluppano e che definiscono il mondo dei generi testuali, delle storie, dei personaggi che le vivono, dei pettegolezzi che nascono. Il flusso di significazione che viene così a determinarsi attorno ai videogames presenta fortissimi elementi di intertestualità. Il singolo videogame si inserisce dunque in un contesto assai ampio: riviste specializzate, fumetti, siti Internet, film.

3. Interactive videogames

Soffermiamoci ora sul testo "videogame". Per l'organizzazione interna dei suoi dati, il videogame può essere considerato a tutti gli effetti un ipertesto, una sorta di "estensione della scrittura" (cfr. Landow) che prevede la scomposizione di una narrazione in più schede, richieste e attivate per mezzo della cooperazione di un lettore. Inoltre il tipo di relazione che viene posta in essere fra il videogioco e l'utente definisce l'ipertesto come testo interattivo, là dove per "interattività" intendiamo "la peculiarità di alcuni sistemi informatici che imitano l'interazione comunicativa tra soggetti umani e che consentono azioni reciproche con un utente (o con più utenti)" (Manetti, 1998:119). Al contrario della configurazione sequenziale, che prevede l'organizzazione di un testo articolata in modo lineare, la struttura interattiva richiede al lettore modello di operare delle scelte nello svolgimento del gioco.

La particolarità della comunicazione interattiva sta nel fatto che essa non avviene tra due soggetti reali effettivamente compresenti in uno spazio condiviso; "avviene piuttosto in una sorta di interspazio di natura simbolica, visualizzato su di uno schermo. Le immagini sullo schermo costituiscono un testo che porta le tracce di un enunciatore e di un enunciatario. (...) l'interazione avviene con dei significanti visualizzati, e lo stesso utente viene ad assumere una sorta di "corpo simulacrale" che gli è fornito dagli strumenti di interfaccia" (Manetti, 1998: 126).

I videogames si comportano dunque come sistemi di interfacce uomo-macchina, che consentono l'instaurarsi di meccanismi di comunicazione tra il sistema informatico e l'utente. Nel nostro caso l'interattività riguarda la possibilità di poter offrire una fruizione attiva all'utente, mettendolo in grado di determinare con le proprie azioni le reazioni del sistema-gioco.

Va in ogni caso sottolineato che, anche se interattivi, i videogames propongono una relazione comunque asimmetrica con l'utente: la narrazione che contiene le azioni dei personaggi, infatti, si sviluppa generalmente utilizzando l'organizzazione ipertestuale dei testi, proponendo all'utente molte possibili varianti entro un numero di scelte finito. Inoltre, non vi è possibilità di interruzione e di influenza reciproca e simultanea; sovente la conversazione o le mosse sono predefinite, e dunque non negoziabili nell'interazione.

L'interattività viene inoltre rappresentata attraverso gradi diversi. Sia nei giochi in terza persona che in quelli in prima persona (vale a dire quando il giocatore sceglie un personaggio ed entra nel gioco con quel ruolo), non vi è riconoscimento dello spettatore: l'utente non è percepito o riconosciuto dagli altri personaggi, ma diviene egli stesso una figura del gioco. Questo accade anche quando si manipolano immagini femminili, come nel caso dei videogames in cui i personaggi sono bambole che vengono spogliate dall'utente, reagendo agli stimoli inviati dalla consolle o dal mouse, senza la simulazione di alcun ammiccamento. Siamo quindi di fronte a una particolare sovrapposizione dei livelli di enunciazione. Al "qui e ora" del gioco, e dunque a un presente dell'enunciazione che rimanda alla situazione di uso del testo, si accompagna il testo enunciato in cui la figura osservata e manipolata resta, per così dire, intrappolata.

4. I ruoli tematici delle protagoniste femminili

I primi videogames e computer games prediligevano personaggi maschili, ad eccezione di Ms Pac-Man, proposto dalla Namco nel 1981, la cui protagonista presentava le stesse potenzialità della sua controparte maschile, ma differiva per il look "femminile" (portava un fiocco rosa in testa). Le figure femminili che invece si incontravano in giochi come Prince of Persia e Double Dragon comparivano in quanto oggetti di valore, ricalcando lo schema classico delle fiabe: si trattava per lo più di principesse che rappresentavano il trofeo che il giocatore poteva conquistare dopo aver superato una serie di ostacoli e di prove. Non vi era dunque alcuna identità femminile costruita o suggerita: i personaggi femminili non presentavano delle modificazioni di statuto all'interno del gioco, né avevano un nome o un passato. Tali fiabe digitali in fin dei conti esaltavano proprio la fissità delle strutture narrative e dei ruoli attanziali e tematici proprie dei racconti tradizionali, peraltro funzionali al particolare tipo di intreccio, necessariamente semplice e facilmente scomponibile, su cui tali giochi erano basati. Prima di Lara Croft, secondo alcune teoriche femministe (cfr. Schleiner 2000) la presenza femminile era in realtà iscritta nella costruzione stessa degli ambienti virtuali, nella loro architettura "uterina", piena di tunnel, di caverne e di passaggi segreti.

Oggi le sequenze/strutture dei giochi sono enormemente cambiate, ma la donna come oggetto di valore non è certo scomparsa, benché alcune delle figure femminili siano divenute anche soggetti dotati di propri programmi narrativi e di propri oggetti di valore. Un esempio è il videogioco Toki Meki, estremamente popolare in Giappone. Lo scopo del gioco è conquistare l'amore della bella Shiori Fujusaki - scopo, si badi bene, perseguito da utenti che vanno dai 15 ai 35 anni (Cfr. Hamilton, 1997) - il cui ruolo è quello di rappresentare un premio da raggiungere, in altre parole di esistere in funzione e per la propria conquista. Ciascun utente deve "portar fuori" Shiori e ingaggiare con lei un corteggiamento, basato su una serie di domande predefinite che il personaggio pone al giocatore, il quale deve rispondere adeguatamente, scegliendo a sua volta tra risposte preconfezionate. Shiori ad esempio dice: "Isn't it a beautiful view?"; per rispondere a questa osservazione, il giocatore ha a disposizione tre possibilità, ma solo l'affermazione: "I hadn't noticed, I've been watching you the entire time", gli farà conquistare il cuore della bella.

Al contrario del loro ruolo attuale, le prime protagoniste di un certo rilievo sono perciò apparse sulla scena allo scopo di attirare il pubblico delle ragazze verso i videogames. Nel corso del tempo però, le virtual girls hanno indossato abiti sempre più succinti, per mostrare corpi simili a quelli delle top model, richiamando l'attenzione di un pubblico prettamente maschile. Va detto che nei giochi i ruoli tematici iscritti nei personaggi femminili continuano molto spesso a ricalcare quelli maschili (esploratore-avventuriero, guerriero), contando su doti fisiche e valori legati alla forza e all'agilità, all'aggressività e alla determinazione. Un esempio fra gli altri è Ling Xiaoyu di Tekken 3, che combatte utilizzando le tecniche delle arti marziali giapponesi e ha un corpo agile e scattante che si muove come quello dei suoi compagni maschili.

Ma a tali ruoli tematici se ne sovrappongono altri. Shiori, insieme a Lara Croft e a molte altre eroine dei videogames, esiste infatti in più versioni, da quelle appena descritte, innocenti e pudiche, a quelle violente, soft e hard porno (si veda appendice 1). Ancor prima della comparsa di archeologhe e di agenti segreti, di poliziotte e di ėsbirre', alcuni di questi personaggi femminili, generalmente adolescenti, vestite con la divisa marinara della scuola, avevano già iniziato a trasmigrare nei videogiochi soft porno, inaugurando una sorta di nuova relazione interattiva con i propri fans. Tra i più frequentati vi è il programma denominato Kisiakae, una vera e propria paper doll a disposizione degli utenti. Si tratta di un'immagine che i giocatori possono lentamente spogliare, con la possibilità di scegliere il punto da cui cominciare e il percorso di svestizione da seguire. Accanto alle versioni soft porno, circolano anche programmi hard core, dove tali immagini-corpi possono essere violati, legati e seviziati. In altre parole, gli utenti dispongono di differenti e possibili esperienze "sessuali", dal corteggiamento precodificato e platonico, fino a vere e proprie torture e a pratiche sadomaso.

Figure femminili simili a quelle dei videogiochi sono però trasmigrate anche fuori dai giochi: idoli e modelle virtuali, proposte da vere e proprie agenzie in rete e oggi anche "anchor women". Un esempio è Ananova, prodotto digitale costato 300 miliardi di lire al gruppo britannico di telefonia mobile Orange. Il suo viso, simile a quello di tutte le altre eroine femminili (labbra carnose, occhi esageratamente grandi), leggerà notiziari 24 ore su 24, "in modo più rapido ed efficiente di qualsiasi mezzobusto in carne e ossa" (Cfr. La Repubblica, 6 luglio 2000). Si tratta di un ibrido ottenuto incrociando i tratti umani di una Spice Girl e quelli digitali di Lara Croft: è il corpo artificiale che copia quello umano o viceversa?

5. Videogames e macronarrazioni

Dal punto di vista semiotico questi stessi giochi possono essere studiati come testi complessi, legati a più generi. Ad esempio Resident Evil non si comporta come un semplice adventure (genere a cui fa riferimento: ved Appendice 1), ma presenta una struttura narrativa molto articolata, tale da dare origine -secondo alcuni - addirittura ad un nuovo genere.

Allo stesso modo in Final Fantasy si hanno molti momenti legati alle dinamiche degli adventure e dei picchiaduro. Final Fantasy mostra la sua natura di gioco di ruolo attraverso forme di narratività esibita, realizzate per mezzo di dialoghi simili a vignette che chiedono di continuo la cooperazione del giocatore, il quale deve scegliere le risposte da dare al suo interlocutore. L'interattività viene qui esplicitata e messa in opera: è il giocatore, infatti, che gestendo il personaggio e operando delle scelte attraverso di esso, usa una determinata intonazione, si muove in certi ambienti piuttosto che in altri, incontra ostacoli o aiuti. In pratica attraverso il personaggio, il giocatore opera una serie di scelte sul percorso e sugli oggetti o armi da portare con sé (role playing). In generale è il percorso stesso del gioco che viene scelto dal giocatore attraverso le mosse compiute dal personaggio che gestisce.

La suggestione legata alle avventure viene arricchita da una serie di altri elementi, come le ambientazioni, l'uso della regia, la presenza di rumori di fondo o di musiche. Inoltre i fondali, che già in 2D offrivano diverse possibilità di interazione, in 3D rendono l'esperienza di gioco ancora più avvincente, permettendo sia dei movimenti di inquadratura in tempo reale, sia la possibilità di seguire l'azione in soggettiva.

L'insieme di questi elementi serve a creare una dimensione della simulazione che tenta di riprodurre nei videogames il comportamento di un interlocutore reale e di un ambiente in cui l'azione dell'individuo possa esplicarsi. In poche parole questi testi propongono in più punti la creazione di "effetti di realtà" sia sul piano di gioco, sia a livello di interazione gioco-utente. Si pensi per esempio ai nuovi strumenti tecnologici (joystick e playstation) che permettono di ricevere non solo stimoli visivi e acustici, ma anche tattili. In questo senso l'introduzione della profondità tridimensionale, pensata "come uno degli strumenti più efficaci nel potenziamento di un effetto di realtà spaziale" (Cfr. Cavicchioli, 1996:22) va vista come un elemento di particolare efficacia per il funzionamento del testo.

Per mezzo della gestione dei personaggi, lo spazio diviene un luogo dell'esperienza di tipo dinamico, vissuto attraverso lo spostamento di corpi e di sguardi. All'interno di questi ambienti, lo sguardo sul visibile viene rappresentato attraverso l'uso di una grammatica cinematografica: vengono cioè utilizzati più punti di vista sullo spazio e sul tempo. Il videogame per ottenere un effetto di realtà convoca cioè una grammatica già profondamente costruita mutuandola dal cinema. Coerentemente con questo, il testo-videogame è costantemente accompagnato da un registro sonoro, composto da musiche, voci o rumori.

Uno dei momenti più interessanti dei giochi è quello dell'introduzione che determina l'avvio alla storia e la presentazione dei suoi personaggi. In alcuni casi (si pensi a Resident Evil: Code Veronica) l'introduzione serve per descrivere l'intreccio e di conseguenza per motivare la "crociata" del personaggio da gestire. I personaggi vengono presentati in questa sede con la funzione di descriverne i caratteri. Claire Redfield, ad esempio, compare fin dalla prima scena dell'introduzione (in sequenza dopo il prologo) a cavallo di una moto, con abiti che la lasciano per lo più svestita. Lo sguardo, la decisione dei suoi gesti, il modo di camminare e guidare sembrano far riferimento a un ruolo più maschile che femminile. La stessa Claire appare invece tematizzata al femminile nelle riviste, negli articoli e nelle immagini che si trovano in rete. È questo il luogo in cui i personaggi vengono distaccati dalle storie rappresentate nei singoli videogames per assumere ruoli diversi: le configurazioni discorsive che nascono e circolano attorno alle eroine fanno sì che queste assumano altre funzioni. È nel più vasto spazio culturale dei videogames che esse presentano personalità ben definite e significano in altri modi. Le eroine subiscono infatti un processo di "personificazione", in cui interviene una più netta scelta di gender coerentemente con la quale vengono costruiti elementi biografici e storie attorno alla loro vita privata. Questi personaggi cominciano quindi a far parte di più mondi possibili: oltre che in un ambito strettamente fantastico (il videogame), appaiono anche in altri media attirando la curiosità e le chiacchiere di lettori che magari nemmeno conoscono il gioco, o che non vi hanno mai partecipato. Ci sembra che questo sia il passaggio fondamentale per far sì che si realizzi uno spostamento dallo statuto di personaggio a quello di idolo, proprio come già accade per altri virtual idol della rete: dalla cantante pop Kyoko Date alle miriadi di modelle (Aimee, Busena, Webbie, ...). Il momento del passaggio a "idolo" delle varie Claire, Lara, Rinoa viene sottolineato anche dall'ampio spazio che viene loro dedicato nelle pagine dei giornali, dei fumetti e delle riviste (in Italia esiste un fumetto interamente dedicato a Lara Croft dal titolo "Tomb Raider", edito dalle edizioni Panini). In questo modo vengono oltrepassati i confini del videogame world e vengono interessate altre tipologie di lettore modello. La circolazione dei discorsi, realizzata soprattutto attraverso i nuovi mezzi (pagine web, chat-rooms, newsgroups, mailing lists) suggella infine la notorietà di questi personaggi.

Ci sembra interessante sottolineare il fatto che attorno a questi idoli si stanno intrecciando delle macro-narrazioni, costruite per mezzo di generi testuali assai diversi, i quali contengono al proprio interno dei micro-elementi relativi alla vita delle virtual girls. In questo senso la "presentazione" di un'eroina fa parte di un discorso comunicativo mass mediatico, in cui compare sia il videogame che i personaggi che ne fanno parte. Si tratta del lancio di un prodotto per il quale spesso l'attenzione è focalizzata sulle potenzialità del gioco e sulle forme dei corpi che lo popolano. Nel tempo poi si realizzano fenomeni di contaminazione con altre forme testuali: ad esempio il cinema e il mondo dei fumetti stanno attualmente cominciando a realizzare opere di traduzione delle storie vissute dalle virtual idol. In più alcuni testi di letteratura erotica (dagli hentai a Playboy) hanno già fatto posto alle loro avventure piccanti.

E sono proprio questi i testi in cui si forma una sorta di identità dei personaggi, quasi del tutto assente nel gioco in sé, in cui il programma narrativo dei soggetti (ad esempio di Lara Croft o di Claire Redfield) è sostanzialmente quello di eliminare avversari e ostacoli. Si tratta quindi per lo più di figure vuote, di immagini da riempire di passato, presente e futuro, di desideri e di tensioni immaginati da altri autori, dai media che ne parlano, ma soprattutto dai fans che vi proiettano i propri stessi desideri e tensioni. Identità dunque del tutto malleabili, narrate però non dai soggetti che si incaricano di definirle, ma da altre voci che riempiono di storie tali immagini-corpi. Ed è proprio a questi corpi che ora rivolgiamo la nostra attenzione.

6. Corpi o immagini?

L'opposizione tra la carne, intesa come qualcosa di deperibile e di "pesante" (nel gergo informatico inglese meat) e la massa eterea delle informazioni digitali riconducibili a un "io senza corpo", rappresenterebbe uno dei principali dualismi della cybercultura" (cfr. Dary, 1996: tr. it. p. 274). La cybercultura sarebbe percorsa da un odio nei confronti del corpo, in particolare da un disgusto per le sue imperfezioni, la sua sporcizia, la sua mortalità. Ai corpi eterei della rete si affiancano però i corpi ėsodi' dei cantanti pop e degli attori, sempre più simili a sculture futuriste dagli angoli ben definiti e dalle superfici lisce: quando del corpo non se ne può fare a meno, lo si rende plastico, asettico, quasi impenetrabile. Anche le immagini femminili che abbiamo brevemente descritto sono rigide e sode; da esse è stata espulsa ogni traccia di vulnerabilità e morbidezza. Dell'immagine tradizionale del corpo femminile, solitamente molle, fluido e liquido, i videogames non conservano nulla, proponendo un corpo totalmente sprovvisto di organi. Del corpo femminile sono rimaste le curve, ma non la mollezza, "rimossa come grasso di balena" (ibidem) insieme alle viscere. Liberate dal peso del corpo femminile, Lara Croft e le sue sorelle mostrano un corpo leggero e inalterabile, seducente ma non ambivalente, incapace di generare e di trasformarsi. Esse paiono allore icone simili a quella di Barbie, esempi di una somatica consumistica, "a consumerist somatics - a technology of the body driven by the idea that our bodies can be whatever we like if we devote enough money and attention to them" (Rogers, 1999: 112).

Da sempre i corpi sono luoghi privilegiati di iscrizione di norme e regole, di potere e di repressione, superfici attraverso cui si esprimono identità culturali e appartenenze (sul corpo e i suoi significati esiste oramai una letteratura vastissima: si veda Price e Shildrick -a cura di- 1999, testo corredato di un'ottima bibliografia). Quali significati sono iscritti in corpi come quelli delle eroine dei videogames? Iniziamo con un'altra domanda, apparentemente banale, a cui sovente si risponde con luoghi comuni: l'odio o l'esaltazione del corpo, i tentativi di liberarsi del suo peso, della sua fatica e della sua vulnerabilità (Marsciani 1999), tradiscono semplicemente una diffusa incertezza sul suo destino? Si tratta di ansie represse che cercano allora sollievo nella distruzione di corpi che, in fondo, non sono "veri"? Gran parte dei videogiochi sono violenti, a volte splatter; a questa violenza truculenta partecipano corpi-macchine da guerra femminili dotati di armi fantascientifiche che, ad esempio, se ben puntate contro il cranio dell'avversario, sono in grado di succhiargli via il cervello.

E che dire invece della possibile seduzione esercitata da questi corpi sodi ma vuoti, ad esempio dell'uso dell'immagine di Lara Croft sdraiata sulla riva del mare, vestita solo con un costume da bagno molto succinto, attraverso cui la casa di produzione ha voluto pubblicizzare la nuova versione di Tombraider? Ma si tratta davvero di corpi? Sicuramente si tratta di immagini usate come corpi, il cui significato è innanzitutto un corpo, immagini però prive di referente. Non ritraggono o rappresentano qualcosa di finto o di eccessivamente artificiale, ma comunque tangibile: sono immagini di immagini, esperibili solo ed esclusivamente in quanto tali.

E sono corpi quelli che muoiono e rinascono a ogni partita? In realtà, chi nasce e muore è il giocatore attraverso il ėcorpo' del personaggio. La vulnerabilità di tali corpi appartiene a chi momentaneamente li abita, all'abilità dei suoi gesti e alla sua velocità. Il personaggio e la sua immagine esistono al di là, o forse al di qua, della pratica concreta del gioco, che ogni volta attualizza o, meglio, testualizza qualcosa di virtualmente sempre disponibile e infinitamente reiterabile. Il giocatore-protagonista può dunque essere colpito e morire (sullo schermo di fatto appare la scritta "you are dead"), ma può continuamente ricominciare a giocare contando sull'integrità delle immagini-corpi con cui "si accoppia".

Benché non si tratti di corpi, in ogni caso si tratta di immagini usate come corpi, in cui vengono iscritti valori e significati, su cui vengono proiettati desideri. Ma un corpo senza carne, senza fessure, senza buchi e orifizi, a quale "logica della sensazione" rimanda? Tali immagini-corpi non hanno nulla a che vedere con la corporeità, con ciò che, ad esempio, Francesco Marsciani (1999) ha definito corpo massa, inteso come istanza di collocazione nello spazio e nel tempo dei segni, dei linguaggi e dei discorsi, "che traccia e istituisce, di volta in volta, la differenza costitutiva del sé e dell'altro, del qui e dell'altrove" (Marsciani, 1999:301). Sappiamo infatti che il corpo nel suo funzionamento semiotico non è una mera superficie iscrivibile e levigabile, una sorta di testo chiuso, bensì un "modificatore di senso, il luogo delle trasformazioni che donano vita ed effettività al senso" (Marsciani 1999: 303). Il corpo significa in maniera densa, e i suoi effetti possono riguardare il corpo enunciato (nel nostro caso le immagini femminili) e il corpo dell'enunciazione (il corpo di tali immagini che prende vita grazie nell'interazione del gioco), il corpo scritto e quello che scrive. Nei videogiochi a un corpo enunciato si sovrappone un corpo dell'enunciazione, e gli effetti di questa interazione, il corpo che ne risulta, andrebbero forse cercati nel linguaggio dell'azione a cui si dà vita, ad esempio negli aspetti durativi e incoativi delle mosse che si compiono, nelle strategie enunciative attraverso cui il personaggio entra in sincretismo con il giocatore da un lato, e con cui entra nel gioco dall'altro. Se perciò vi è una corporeità intrinseca a ogni articolazione del senso, uno strato che precede, ma al tempo stesso determina la semiosi, forse nel nostro caso va cercata nei corpi di chi gioca e nel loro sincretismo con le immagini.

6.1 Corpi e usi

Da una ricerca basata su di un'indagine etnografica e su interviste condotte a giocatori abituali, sono emerse alcune possibili e ulteriori interpretazioni di Lara Croft e le sue sorelle (Si veda Schleiner, 2000). La prima ipotesi è che tali creature femminili siano prodotti mostruosi, figlie di un progresso alienante, tecno-bambole malleabili create da e per lo sguardo maschile. La seconda è che si tratti invece di vere e proprie drag queens.; nella maggior parte dei casi, tali figure sono infatti utilizzate da giocatori maschili che proverebbero godimento dall'identificazione con un personaggio ambiguo, femminile ma forte, aggraziato ma caricaturale (gambe lunghissime, seno prorompente, ecc.). Secondo questa seconda ipotesi, Lara Croft e le sue sorelle avrebbero in realtà una funzione positiva, in quanto contribuirebbero a rendere più confuse le distinzioni classiche e tradizionali di genere, fornendo ad adolescenti e a uomini adulti la possibilità di ėvestire', anche solo per lo spazio di un gioco, un'identità femminile. La terza ipotesi è che ci si trovi di fronte a delle femmes fatales, a figure di dominatrici che stuzzicano il masochismo dei giocatori maschili, attratti dai modi crudeli e violenti con cui esse eliminano senza la minima esitazione i propri avversari. La quarta possibilità è che tali immagini fornirebbero alle giocatrici (in questo caso femminili) posizioni del soggetto in fin dei conti liberatorie, se non altro migliori di quelle offerte dai giochi espressamente diretti a un pubblico femminile, quali Barbie-Dressup e Ms. Pacman, in cui, al contrario, si continuano a perpetuare stereotipi di genere. Con 'posizione del soggetto', categoria ampiamente usata dalla critica femminista, si intende una costruzione testuale, una rappresentazione in grado di offrire una forma di identificazione, un insieme di valori attraverso cui il lettore/la lettrice costruisce parte della sua identità culturale. Le eroine dei videogames darebbero insomma voce e corpo sintetico a un piacere abietto che le donne poco confessano, ma che in realtà molte coltivano, a fantasie di violenza e di conflitti sanguinosi che finalmente possono trovare libero sfogo.

Sta di fatto però che Lara e le sue sorelle non hanno molte fan femminili. Rimaniamo perciò con il problema di come provare ad articolare la possibile seduzione, o il supposto potere erotico, esercitato da questi corpi di poligoni. Tale ėseduzione' sta forse nello scarto, nella distanza che esiste tra questi corpi e quelli reali, al tempo stesso nella vicinanza che porta un corpo ėreale' a entrare in sincretismo, attraverso il gioco, con un corpo digitale? I corpi plastici di queste eroine sembrano fare appello a una sorta di para-sessualità incentrata proprio sulla distanza del corpo : "Such sexuality involves glamorizing the body. It thus entails more than the social construction of women as sex objects. Parasexuality involves their construction as glamour objects that are publicly visible but socially and psychologically distant" (Rogers: 113). La distanza non solo sostiene e protegge il glamour di tali corpi, ma stuzzica il desiderio proprio creando uno iato tra oggetto desiderato e colui che lo desidera (cfr. anche Bailey: 1990).

Le eroine dei manga, in parte anche le figure dei videogames, sono inoltre dotate di forme anatomiche incongrue rispetto a quelle del corpo umano: generalmente le gambe occupano due terzi dell'altezza della figura e gli occhi sono sempre esageratamente grandi. Si tratta perciò di immagini fisicamente deformate rispetto a degli standard biologici, figure di ėpersone' che non solo non esistono, ma che non potrebbero mai esistere. Il corpo umano è così scomposto, alcune sue parti, quelle più seducenti e seduttive, ingrandite e ricombinate per creare un'immagine totalmente artificiale. Anche quando si incontrano eroine o idoli virtuali dalle sembianze più verosimilmente umane, si tratta in ogni caso di corpi ibridi sempre troppo perfetti e lisci, sempre prosperosi e scattanti: il fascino nasce da una perfezione irraggiungibile, che coniuga seni abbondanti a muscoli d'acciaio. A questo rimodellamento del corpo si aggiunge anche il suo congelamento in una condizione di giovinezza perpetua: il tempo in cui Lara si muove è costantemente reiterabile e riscrivibile. E' vero che Lara e le sue sorelle possono divenire obsolete e perdere di valore, ma di questa consunzione non vi è alcuna traccia visibile, in quanto Lara non esiste se non nell'uso che ne viene fatto, in quanto parte del suo valore è, per l'appunto, quello di non esistere autonomamente. Per secoli il corpo femminile è stato ridotto a carne reificata, oggi siamo giunti all'immagine reificata senza più alcuna carne?

L'artificialità dichiarata, esagerata ed esplicitata propria di tali immagini sembra perciò costituire parte del fascino che viene esercitato sul pubblico. Come se l'impossibilità di essere toccati, ma al tempo stesso la possibilità di essere controllati, renda a questi corpi un'innocenza apparentemente irresistibile. Come scrivevamo, dall'interazione con tali figure è assente tutta la fatica che qualsiasi interazione umana comporta. Al tempo stesso, il fatto di non poter toccare e penetrare questi corpi giovani e adolescenti, fornirebbe ai giocatori (in particolare agli uomini adulti) la possibilità di una trasgressione, dell'infrazione di un tabù (maneggiare un'immagine-corpo adolescente), che si compie senza che vi sia alcuna particolare sanzione sociale. L'immagine digitale funzionerebbe perciò come un "site for affection ...completely risk free...There is no risk of her character betraying the model that has been constructed because she does not exist as an entity outside her function...There is no mechanism for satisfaction within these images, only the simultaneous perpetuity of sexual possibility and impossibility... and that's what keeps us watching" (Hamilton, 1997). Le virtual idols, in particolare Kyoko Date, non hanno però avuto il successo sperato. Il motivo, suggerisce Hamilton (1997) è che Kioko è ancora troppo umana, o per lo meno è un programma che si sforza di apparire e di agire come un vero essere umano, un amalgama di tratti e caratteristiche che comunque fanno riferimento a persone esistenti. Ha una voce che appartiene a qualcuno di realmente esistente, e si muove come un essere umano grazie a una tecnica che permette di registrare i movimenti di un corpo ėvero' e quindi di trasferire tale movimento alle immagini digitali.

La seduzione nascerebbe proprio dall'essere feticci a due dimensioni, non necessariamente piatti, ma comunque relegati allo schermo. A questo proposito tornano in mente le riflessioni di Mario Perniola (1994) sul sex appeal dell'inorganico (Benjamin), che Carlo Formenti etichetta come "feticismo neopagano" (Formenti, 2000). Si ricorderà che secondo Perniola l'unica vera metamorfosi capace di interpretare il nostro tempo è quella del "divenire cosa", in altre parole accettare di fondersi e di ėfare l'amore' con le cose. Partendo da uno slittamento semantico del termine feticcio, che si disgiunge da qualsiasi riferimento marxiano, Perniola giunge a dire che oggi "il feticcio non raffigura e non riproduce alcunché; esso si dà qui e ora nel suo essere cosa, nella sua universalità astratta che prescinde completamente da qualsiasi legame con uno spirito o una forma determinata. Esso non è il simbolo, né il segno, né la cifra di qualcos'altro (...) il feticismo segna il trionfo dell'artificiale che si offre effettualmente nella sua arbitrarietà opaca e indifferente, nel suo essere cosa senziente" (Perniola, 1994: 68). Il feticcio sente senza essere vivo, e la sua esistenza ci condurrebbe a una "devoluzione", che non è però un'involuzione: "nessun ritorno indietro al primitivo (...) l'orizzonte aperto della devoluzione è postumano, non preumano" (Perniola, 1994: 88). La sessualità delle cose senzienti è neutra e non si esaurisce nell'orgasmo: è lo stato di eccitazione perenne che la "disponibilità permanente delle cose rende possibile" (Formenti, 2000: 124).

Ci sembra però che tali feticci si distanzino dal mito del cyborg proposto da Donna Haraway (1991), vale a dire che essi non siano ancora in grado di conciliare la divisione tra corpo e mente, tra meccanismi e organismi, tra natura e cultura, affermando invece differenze (sessuali, etniche, di genere) che rifiutano di essere annullate o represse. Al contrario, i nostri feticci sono tutte figure dalla pelle bianca, rigorosamente eterosessuali (sovente viene loro attribuito un fidanzato, benché questi non compaia mai: l'importante, però, è che ci sia, e che dunque una certo ordine sociale venga mantenuto), in realtà riassumibili nell'immagine di un unico corpo minimamente variato.

Ma probabilmente è sbagliato limitarsi a condannare tali figure e la loro feticizzazione, e liquidare così semplicemente la questione della nostra relazione con questi oggetti che sono, come suggerisce Latour (1996), veri e propri attanti i quali partecipano, insieme agli umani, alla composizione del tessuto della vita sociale. Una possibile direzione di ricerca potrebbe allora partire dal concetto, a sua volta ibrido, di dispositivo, il quale permette di ripensare in modo interdipendente la relazione tra soggetti e oggetti, "non plus sur le mode de l'instrumentation ou de l'aliénation, mais sur le mode de la fréquentation, du contact ou même de l'experience affectivo-corporelle, voire du jeu (Peeters e Charlier, 1999: 17). Come si iscrivono però le differenze di genere e di sesso in tali relazioni? Quel che sembra evidente, per lo meno a questo stadio della ricerca, è che nei corpi-oggetti esaminati tali relazioni ripropongono valori propri di una società ancora patriarcale. Tali valori sono iscritti in ruoli tematici variabili, per lo più in donne guerriere la cui identità, una volta narrata al di là dell'occorrenza di ogni partita, si lega inevitabilmente alle forme dei loro corpi. E non è allora un caso che esista già una subcultura che si dedica al game hacking, definendo strategie di riconfigurazione dei formati di videogames quali Tombraider, Resident Evil e Forsaken, in particolare cambiando i personaggi con altri che ne riscrivono i corpi e le identità.

Cristina Demaria e Antonella Mascio

Questo articolo è tratto dall'intervento di Demaria e Mascio nel workshop "Lara Croft e le sue sorelle", all'interno della 4th Feminist Research Conference, svoltasi a Bologna nell'autunno 2000 (http://4thbo.women.it/)


Appendice 1

Proponiamo una breve classificazione dei videogames (per una descrizione più approfondita di alcuni dei generi seguenti, cfr. Hertz 1997).

adventure: i giochi adventure si basano sull'accumulazione di tutta una serie di oggetti che vengono poi usati per risolvere dei rompicapo. Il ritmo del gioco è moderato. Gli ultimi adventure vengono costruiti sulla base di una sapiente ricerca cinematografica. In alcuni casi la presenza della regia e l'uso della soggettiva creano un effetto di sguardo interno al videogame (enunciazione enunciata). Esempi di questo tipo sono: Tomb Raider e la famosissima Lara Croft, Resident Evil: Code Veronica con Claire Redfield. Resident Evil viene addirittura considerato come il capostipite di un nuovo genere, quello dei "Survival Horror";

picchiaduro: sono molto simili ai fumetti, in alcuni casi vengono addirittura definiti come "fumetti che si muovono" (Cfr. Hertz, 1997). Mettono in campo dei guerrieri che si combattono in duelli all'ultimo sangue. Il ritmo è vorticoso. Generalmente vengono accompagnati da una buona regia che mette in risalto diversi angoli di ripresa (si pensi ad esempio a Tekken 3 con Ling Xiaoyu);

giochi di ruolo: assomigliano agli adventure ma presentano un'azione meno ripetitiva ed astratta. Si svolgono come lunghe e complesse narrazioni epiche delle gesta di una banda di personaggi, con la presenza di oggetti ed eventi appartenenti al mondo della magia (si pensi alla saga di Final Fantasy). Le competenze necessarie per l'esplorazione delle ambientazioni vengono acquisite nel corso del gioco. Viene richiesta un'attenzione ossessiva ai dettagli e alle armi a disposizione del giocatore. Il ritmo è piuttosto lento;

hentai: giochi erotici (erotic manga). Visto l'oggetto della nostra analisi ci è sembrato giusto aggiungere questo gruppo di giochi, generalmente assente dalle tipologie tradizionali. Nei motori di ricerca, solitamente tali giochi vengono inseriti nelle voci dedicate all'erotismo o al sesso. Un esempio fra gli altri lo fornisce Yahoo Italia che pone la voce hentai in coda ad "Affari e finanza". Gli hentai rappresentano immagini, fumetti e giochi di personaggi prevalentemente femminili. Spesso vengono utilizzate eroine divenute famose grazie ad altri giochi, sfruttandone in tal modo la notorietà e facendo perno sulla curiosità del loro pubblico. Si pensi, ad esempio, al personaggio di Lara Croft, proveniente da Tomb Raider ed inserito con valenze erotiche in Nude Raider (Cfr. l'articolo di Anne-Marie Schleiner, "Does lara Croft Wear Fake Plygons, disponibile all'indirizzo: http://switch.sjsu.edu/web/v4n1/annmarie.html).

 

Appendice 2

Campione utilizzato:
Barbie-Dressup
Double Dragon
Final Fantasy
Kisiakae
Ms Pac-Man
Nude Raider
Prince of Persia
Resident Evil
Tekken 3
Toki Meki
Tomb Raider

Bibliografia

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