Ocula 6, ottobre 2005

Sguardi semiotici sulla pubblicità - Introduzione

 

di Cinzia Bianchi e Andrea Zannin



A partire dagli anni sessanta, cioè da quando ha rivendicato una sua specifica autonomia disciplinare, la semiotica ha rintracciato nel testo pubblicitario e nei fenomeni di consumo oggetti di studio di particolare interesse. Ne sono acute testimonianze la celeberrima analisi della pubblicità della Pasta Panzani di Roland Barthes così come quella del Sapone Camay di Umberto Eco[1]. Da allora l’analisi semiotica della pubblicità ha avuto alterne fortune e soprattutto è stata finalizzata a scopi differenti e persino contrastanti tra loro: dallo studio dei complessi meccanismi retorici e persuasivi che stanno a monte del discorso pubblicitario, all’identificazione dell’apparato ideologico-consumistico che ne è alla base, dal monitoraggio dello scenario comunicazionale, all’ottimizzazione di un nuovo posizionamento, al fine tuning di una specifica campagna con occhio all’efficacia sul consumatore.

Il presente numero di Ocula focalizza il suo sguardo semiotico interamente sulla pubblicità a partire da alcune importanti evidenze:

  • una semiotica del fenomeno pubblicitario come campo disciplinare e cassetta degli attrezzi per l’analisi di spot, annunci-stampa, communication mix in genere, non ha esaurito ancora tutti i nodi teorici emersi nel corso di anni di pratiche analitiche sui testi, discorsi e generi pubblicitari;
  • la semiotica della pubblicità costituisce un terreno di confronto (cooperativo e polemico a un tempo) tra ricerca accademica, da una parte, e consulenza professionale per il marketing e la creatività pubblicitaria dall’altra;
  • l’attuale sguardo semiotico (e sociosemiotico) sulla pubblicità si è conquistato di diritto un posto legittimo tra le metodologie di analisi qualitativa del consumo, del marketing e della corporate communication accanto ai più tradizionali e consolidati approcci psicologici e sociologici.

A tutto ciò deve essere aggiunto lo sviluppo di nuovi importanti questioni teoriche e “branche”, come la semiotica delle passioni e la sociosemiotica, che ci sembrano aver notevolmente arricchito il quadro d’insieme.

I nostri attenti lettori avranno presente come i temi appena elencati siano riconducibili a diversi contributi già comparsi su Ocula. In modo del tutto orientativo e senza togliere niente ai vari articoli o saggi, talvolta piuttosto corposi e articolati, possiamo individuare in Ocula alcune analisi semiotiche puntuali di spot e annunci-stampa (cfr. Confalonieri, Giliberti, Nicolotti, Trabalza, Zannin); il discorso della marca viene comprensibilmente affrontato nella sua generalità teorica (Ferraresi), in riferimento ai punti vendita (Marchetti) oppure nelle strategie di prodotto (Trabalza, Zannin); vi è una discussione particolarmente interessante sull’apporto della teoria semiotica alla produzione dei testi (Galofaro, Paolo) così come un compendio del rapporto tra semiotica e pubblicità (Boero).
Tale varietà di argomenti e sguardi dipende, a nostro avviso, dal fatto che non è immediato comprendere esattamente cosa costituisca lo specifico pubblicitario e collateralmente lo spazio di una specifica semiotica della pubblicità. Non è infatti immediato rendere conto, per esempio, del rapporto tra enunciato (ciò che viene narrato nella singola forma testuale, come spot e annunci-stampa), struttura dell’enunciazione (che potrebbe essere riassunta nel rapporto Marca/Consumatore ancora inscritti nel testo) e situazione di consumo. In questo ambito, può essere sufficiente la categoria psicologica di “sutura” e “immedesimazione” del destinatario della comunicazione all’interno del testo per spiegare gli atteggiamenti e comportamenti d’acquisto? Abbiamo invece bisogno di altri strumenti teorici per le analisi delle pratiche di consumo e dell’efficacia della marca e del prodotto sul consumatore?

E’ all’interno di tale quadro teorico che è nata l’idea di un numero monografico sulla pubblicità e, come ormai è nostra prerogativa, il problema viene sondato ed esplorato mediante singoli casi di studio. Ecco che dall’ampio problema “globale” dello statuto di una semiotica della pubblicità, arriviamo a una serie di risposte “locali” che passano inevitabilmente per analisi di uno o più testi pubblicitari e ricercano un principio di esaustività e pertinenza all’interno di essi, lasciando al lettore la successiva generalizzazione. Nel suo procedere per singoli casi, il numero si articola seguendo tre principali direttrici di ricerca.

Una prima sezione è composta da articoli che introducono i nuovi paradigmi derivanti dalla semiotica delle passioni all’interno della ricerca sulla pubblicità. Traini, Graziani, Boero in qualche modo vedono nelle categorie del passionale e dell’estesia strumenti analitici che avvicinano la semiotica alla sociologia del consumo: quando si parla di “valore e valori della Marca” diventa importante capire quali passioni sono messe in gioco per creare il valore dell’oggetto e il volere del soggetto. Introdurre distinzioni tra discorso pubblicitario “appassionato” e discorso pubblicitario “appassionante” diventa un approccio fondamentale per passare dal testo alla posizione soggettiva implicata da quel testo (il lettore come consumatore potenziale, user o prospect). Attraverso casi specifici come pubblicità di profumi o shop design, l’analisi si appunta poi più specificatamente alle dinamiche legate all’estesia, alla polisensorialità, alle figure del corpo (Fontanille) come strumenti semiotici che valorizzano la marca e patemizzano il consumatore.
L’analisi di Fusaroli, invece, ci insegna quanto la semiotica possa dire di sensato sul senso anche e soprattutto quando il senso è ineffabile: il caso in esame riguarda un noto spot creato dal celebre regista David Lynch caratterizzato da un bassissimo grado di narratività, un alto valore estetico e una difficoltà di lettura piuttosto alta. Un esempio pubblicitario di questo tipo – spazio testuale in cui sembra non accadere alcunché – diventa preziosa occasione di ricerca sulle dinamiche passionali ed enunciazionali in generale: la costruzione di un osservatore, la sua patemizzazione.

La seconda sezione allarga lo sguardo dal testo al genere pubblicitario e collateralmente assume una prospettiva analitica che deve molto agli attuali sviluppi della sociosemiotica e della semiotica della cultura.
L’approfondito e originale lavoro di Perani prende in considerazione il discorso “secondo” che Adbusters crea a partire dal discorso “primo” costituito dalla pubblicità: un discorso secondo volto a sovvertire il primo, svelandolo e ridicolizzandolo. La specificità del discorso di Adbusters è quella di utilizzare il linguaggio della pubblicità per attuare un ripensamento critico della pubblicità stessa e della società consumistica che riproduce e mantiene in vita. Il lavoro di Perani ha una duplice tensione: da una parte nel mostrare i contenuti della società consumistica e della pubblicità messi in scena da Adbusters; dall’altra parte, mostra molto bene come lo stesso Adbusters sia un soggetto enunciante che costruisce il proprio lettore e che quindi –inevitabilmente- adotta forme strategiche di manipolazione finalizzate all’assunzione della comunicazione, all’adesione dei valori proposti dall’Enunciatore Adbusters.
La ricerca di Tronconi parte dall’interessante segnalazione di una tendenza: l’influenza dell’India e in particolare di configurazioni discorsive legate al “matrimonio indiano” all’interno della pubblicità italiana. Grazie all’intreccio tra apparati teorici della semiotica della cultura (Lotman) e della semiotica interpretativa (Eco) e un’attenzione analitica alla dimensione creativa tipica della pubblicità, Tronconi individua i rapporti tra lettori modello (con relative competenze presupposte) e target dei messaggi pubblicitari analizzati.
Benoît Carbone propone infine un’analisi di due annunci stampa di profumi in cui sono “messi in scena” a livello discorsivo due modelli differenti di mascolinità e, attraverso il rapporto complesso tra regole sociali e rottura individuale di tali regole, reintroduce in nuce la possibilità di una semiotica che come la prima semiologia barthesiana possa interrogare criticamente il sociale e le sue forme di manifestazione.

La terza sezione si dedica alla pubblicità di quel prodotto culturale particolare che è l’arte cinematografica. Ci si interroga sulle nuove forme pubblicitarie costituite dal trailer cinematografico (nei suoi vari formati e denominazioni), sul rapporto tra trailer e forme testuali primarie e sul marketing cinematografico come fenomeno particolarmente interessante dal punto di vista sociosemiotico.
Il lavoro di Trotti si focalizza sulla complessa gestione del mix di comunicazione che ruota attorno alla promozione e commercializzazione del prodotto cinematografico. Il topic di questo studio ruota attorno alla questione di come fare in modo che sempre più testi –e testi tra loro sempre più diversi– moltiplichino la “promessa” del film senza bruciarla o depotenziarla. Il caso scelto, l’analisi di trailer, backstage e videoclip de “La finestra di fronte” di Ferzan Ozpetek si dimostra esemplare allo studio di traduzioni intersemiotiche finalizzate a scopi promozionali.
Nel loro corposo e interessante articolo, Bigi e Codeluppi indagano il rapporto tra pubblicità tradizionale –dotata di propri paradigmi quasi canonizzati– e pubblicità cinematografica. La ricerca assume una prospettiva diacronica volta a esplicare quanto sia ormai evidente che l’industria cinematografica debba costruire paratesti (Genette) per non far morire il testo-film. Nel marketing cinematografico, l’importanza di questi paratesti è ormai tale da essere a buon diritto considerabili testi a sé stanti e talvolta prevaricanti il testo di partenza.

Abbiamo infine voluto aggiungere una quarta sezione composta da due brevi ma interessanti articoli che aprono la pubblicità a altrettanti ambiti di analisi. Nel primo Schiavon ci propone un’analisi semio-antropologica di alcuni spot del Parmigiano Reggiano che volutamente trascura l’aspetto più propriamente narrativo per concentrarsi sul linguaggio del mito pubblicitario; nel secondo Brunelli cerca di capire come funziona dal punto di vista psicologico la marca –la marca funziona come una droga?, si chiede provocatoriamente l’autore


Note

[1] Cfr. R. Barthes, “Retorica dell’immagine” in L’ovvio e l’ottuso (Einaudi 1985) e U. Eco, La struttura assente (Bompiani, 1968). Per una ricostruzione storica del rapporto tra semiotica e pubblicità cfr. in particolare G. Marrone, Corpi sociali. Processi comunicativi e semiotica del testo (Einaudi, 2001) e C. Bianchi, Spot. Analisi semiotica dell’audiovisivo pubblicitario (Carocci, 2005).