Ocula 3, febbraio 2003

Il semiologo e il creativo: rapporti tra semiotica e creatività nel lavoro di agenzia

 

di Antonio Paolo



Rapporti tra semiotica e creatività nel lavoro di agenzia: possibili risvolti professionali di una lettura "pratica" di Marketing Moving di Giulia Ceriani.




Premessa

Le brevi riflessioni che seguono, intendono rispondere al call for papers sulla problematica "semiotica e produzione di testi" lanciato da Giampaolo Proni nell’editoriale del numero 2 di Ocula. Sono riflessioni basate prevalentemente sulla lettura del volume "Marketing Moving" di Giulia Ceriani (2001, Franco Angeli, Milano) e stimolate dall’intervento di Francesco Galofaro su Ocula n. 2 che ha preso spunto proprio dal menzionato volume per trattare la questione del ruolo della semiotica nella produzione di testi. Inoltre sono riflessioni che si appoggiano anche su una esperienza personale fatta di consulenze semiotiche presso una piccola agenzia di comunicazione e pubblicità1. Pertanto se certe considerazioni avranno un tono generalista, si tratterà sempre di tentativi volti a trarre valutazioni generali da peculiari esperienze personali. Questo per chiarire sin dall’inizio che non si intende in alcun modo proporre un vademecum del consulente semiotico di agenzia di comunicazione; non siamo mossi da tale ambizione e ancor meno forniti dell’esperienza sufficiente per approntare qualcosa che vi si avvicini. Ciò che si dirà costituisce invece una personale visione su come la figura professionale del semiologo potrebbe intervenire nel lavoro di agenzia di comunicazione, cioè — per riagganciarsi alla tematizzazione del call for papers — in fase di supporto alla "produzione" di una certa tipologia di testi. La speranza è che queste riflessioni possano ricevere stimolanti riscontri (risposte, smentite, critiche, integrazioni e quant’altro) da chi questo mestiere lo fa da tempo, con elevate competenze professionali operando in contesti certamente più influenti nell’ambito della comunicazione, del marketing e della pubblicità.

Una lettura "pratica" di Marketing Moving

Come può intervenire proficuamente la semiotica in sostegno alle attività di marketing e comunicazione pubblicitaria? L’intero volume di Giulia Ceriani ce ne offre ampie e molteplici dimostrazioni, in tutti gli ambiti, in tutte le pieghe e i supporti necessari per una efficace gestione di un communication mix. Sono dimostrazioni tratte prevalentemente dall’ambito dell’operatività consulenziale semiotica attuata presso i settori qualitativi degli istituti di ricerca, ma che possono funzionare tranquillamente da guida anche nei casi in cui la semiotica voglia intervenire a supporto del lavoro creativo nelle agenzie di comunicazione e pubblicità. A supporto dunque e non in sostituzione. Questo per premettere che in questa sede si vuole seguire una lettura della proposta semiotica di Giulia Ceriani da cui non emerge l’individuazione di un approccio fortemente normativo tale da sancire quel netto passaggio da una semiotica "normo-descrittiva" ad una semiotica "normo-produttiva" ben descritto da Galofaro nel suo articolo. Galofaro mostra con puntualità teorica gli snodi che lo hanno portato all’individuazione della menzionata svolta nel volume di Ceriani. Non si intende criticare la struttura del suo ragionamento. Si vuole semplicemente sostenere un altro tipo di lettura del volume. Una lettura sicuramente meno orientata ad una riflessione sulla contestualizzazione epistemologica dell’opera, meno attenta agli aspetti "meta" della teoria, una lettura più interessata a trarre preziosi suggerimenti pratici da una "semiotica alla prova" in quanto struttura portante di Marketing Moving:

"… l’obiettivo principale di questo libro […] non è discutere le questioni interne alla disciplina semiotica, ma al contrario proiettarla il più possibile al di fuori di sé, in quell’universo concreto in cui la crediamo capace di dare il suo miglior contributo" (Ceriani 2001, p.16).

Anche Galofaro fornisce esempi pratici ed illustra gli usi (e gli abusi) possibili di certi strumenti analitici (quadrati, griglie, modelli ecc.), ma il suo intento è quello di suffragare il passaggio alla semiotica normo-produttiva, ritenuto insito nel volume di Ceriani, mostrandone caratteri, limiti e rischi (Cfr. Galofaro 2002, pp. 1-4 e seg.). La sua è dunque una lettura guidata dall’individuazione di uno spostamento epistemologico che il libro di Ceriani sancirebbe rispetto all’alveo teorico greimasiano a causa dell’adozione di un approccio prevalentemente produttivo e non descrittivo, genetico e non generativo. In tal modo viene completamente ribaltata la collocazione teorica esplicitamente dichiarata dall’autrice fin dalle prime pagine di Marketing Moving:

"La semiotica di cui parliamo ha il suo riferimento teorico nei fondamenti strutturalisti della Scuola di Parigi, fondata dal lituano Algirdas Julien Greimas" (Ceriani 2001, p.25).

Un ribaltamento che noi non abbiamo colto in sede di lettura. Abbiamo invece trovato l’intero impianto del volume di Ceriani in coerenza con le opere di Floch orientate al trattamento semiotico delle problematiche di marketing e di comunicazione pubblicitaria (Floch 1990, 1995).

La semiotica come supporto alla creatività

Ribadiamo però di non esserci focalizzati sugli aspetti epistemologici del volume e non riteniamo soffermarci oltre sulla questione, anche per non sconfinare troppo dal titolo di queste riflessioni. Intendiamo invece individuare un punto di convergenza tra l’articolo di Galofaro e Marketing Moving di G. Ceriani che ci fornisce lo stimolo per riflettere sull’intervento del semiologo nel lavoro di agenzia di pubblicità e comunicazione. Questo punto di convergenza si trova proprio nelle righe conclusive dell’articolo di Francesco Galofaro. Ci pare, infatti, che dall’intero volume di Ceriani emergano le competenze di una figura professionale il cui ritratto complessivo ben si sposa con la metafora usata da Galofaro per chiudere il suo articolo:

"Il semiologo può divenire il medico della comunicazione, che somministra terapie per correggerne le aberrazioni (per lo meno, quelle identificabili) ex-ante, durante la produzione, ed ex-post a produzione avvenuta prima che intervenga la fase della distribuzione del prodotto semiotico. Come ogni buon medico, il semiologo cura la vita dei testi; in nessun caso crea tale vita. […] Non dunque una comunicazione prefabbricata semiologicamente, bensì una comunicazione semioticamente riveduta e corretta."(Galofaro 2002, p.10).

Per andare subito al nodo della questione, Giulia Ceriani nelle prime pagine del libro mette in chiaro che l’approccio semiotico non intende prendere il posto dell’attività creativa; non vuole costituire dunque un insieme di strumenti teorici che fungano da algoritmi atti a produrre testi. L’approccio semiotico, nell’intero percorso narrativo della produzione testuale descritto in Marketing Moving, assume il ruolo di un vero e proprio adiuvante che interviene in questo processo a supporto di un soggetto che è e rimane incarnato nella figura del creativo (si chiami copywriter, art director, web designer o quant’altro):

"Il rapporto con la creatività, che riguardi i concetti di prodotto o di comunicazione, deve essere una delle principali preoccupazioni del marketing, ed è a questo proposito che la semiotica meglio esercita il suo ruolo di adiuvante. […] La semiotica può facilitare il processo creativo, e lo aiuta comunque ad essere più opportuno, in quanto lo rende consapevole del rapporto esistente tra il concetto — condensato di senso — e la sua espansione/generazione. Nell’approccio "generativo", ciò consiste esattamente nel prendere in considerazione la trasformazione non lineare e immanente di ogni concetto/di ogni lingua per riuscire a diventare discorso e parola." (Ceriani 2001, p.23, corsivo nostro).

La metafora del "medico della comunicazione" non solo è pienamente in sintonia con la figura professionale del consulente semiotico che emerge da Marketing Moving, ma è anche, aggiungiamo noi, un modello da seguire nell’istituzione di un rapporto di collaborazione con l’apparato creativo di agenzia. Precisiamo, parliamo di "medico" non perché la proposta dei creativi sia in ogni caso malata in partenza, ma perché, proprio come un medico, il semiologo non interviene solo in funzione terapeutica. Un medico conosce le dinamiche fisiologiche di funzione interna che permettono la vita di un essere vivente e può suggerire accorgimenti per mantenere salutare questa vita, oltre che curarla in caso di patologie. Così il semiologo sa come vivono i testi, come funzionano internamente, come producono effetti di senso e può in qualche modo supportare il creativo nella loro produzione. Supportare appunto non fornire istruzioni di produzione. Seguire questo modello di operatività aiuta ad istaurare un rapporto tra creativo e semiologo basato sulla fiducia. Ciò garantisce anche un rapporto di collaborazione in cui nessuno dei due professionisti arriva a considerare l’altro come una interferenza intrusiva nella propria sfera operativa. Il semiologo non può e non deve assolutamente essere percepito come colui che intende sostituirsi al creativo. Semiologo e creativo devono rimanere due entità professionali nettamente distinte, dalla cui sinergia collaborativa si può soltanto ottenere un incremento di valore nelle proposte creative da presentare al cliente. Cerchiamo di trattare un po’ più accuratamente le condizioni di base su cui può poggiare questa collaborazione partendo da considerazioni generali sull’approccio semiotico.

La semiotica e i propri oggetti di analisi

E’ opportuno soffermarci molto brevemente su come la semiotica tratta i propri oggetti di analisi. La semiotica si occupa dei sistemi e dei processi della significazione ed opera al fine di indagare le organizzazioni e le articolazioni di senso soggiacenti ai testi. Cosa è il testo per la semiotica? Parlarne esaurientemente fuoriesce dagli scopi di queste riflessioni. Ci viene però in aiuto il modo in cui Francesco Marsciani ha parlato di testo e di analisi semiotica nell’introduzione di un suo volume dedicato alla presentazione di una serie di analisi concrete (Marsciani 1999). In semiotica intendiamo per testi quelle entità dotate "…di una densità reale, di uno spessore, che interagisce con noi, con la nostra percezione con il nostro immaginario" (Marsciani, 1999, p.5). Il testo è in sostanza un luogo "in cui si realizza e si manifesta la significazione, quel luogo cioè in cui è possibile riconoscere e distinguere due piani che sono quelli propri di ogni linguaggio, di ogni sistema di segni: […] piano dell’espressione e piano del contenuto" (Ibidem, p.6). L’intervento semiotico offre i suoi vantaggi quando si pone l’esigenza della descrizione dei modi attraverso i quali un testo può significare, "…o, che è lo stesso, dei modi attraverso cui un testo può accedere a quel piano empirico in cui incontra la gente manifestando a quella gente la significazione da cui è abitato" (Ibidem). Per trattare semioticamente dei testi bisogna innanzitutto partire dall’assunzione "che essi si presentano nella forma molto empirica di effetti di senso prodotti e proprio per offrirsi come effetti di senso essi non sono altro che modi specifici in cui il senso in generale si articola per accedere ad un piano di effettività" (Ibidem, p.8). I testi per il semiotico condividono una stessa caratteristica essenziale sono "articolazioni realizzate del senso, articolazioni specifiche di una significatività generale" (Ibidem).

I vantaggi della definizione semiotica di testo nel sostegno all’attività creativa

Quanto brevemente accennato risulta molto importante per capire come il semiologo, con questo tipo di approccio alla significazione, possa supportare l’attività creativa. Come dice ancora Marsciani:

"ci muoviamo sempre tutti, autori e analisti, "creativi" e critici, gente comune che conversa, all’interno di questo spazio comune, che è quello che articola il senso, ed è qui in questo spazio della significazione, che si radica la possibilità per ogni testo di inerire ad altri testi, di parlare di altri testi, di trasporre di tradurre, trasformare — parafrasare — altri testi. Il semiologo, allora, anziché reagire puramente agli effetti di senso […] cerca di parafrasare i testi controllando le proprie procedure secondo criteri (naturalmente sempre discutibili) di scientificità" (Ibidem, p.9).

Qualsiasi creativo si muove sempre e comunque in questo spazio comune, in questa "competenza generale al senso" che egli può, come si è detto, rendere manifesta di volta in volta attraverso "articolazioni specifiche" che producono effetti di senso. Il semiologo, grazie a questa consapevolezza e grazie ad una serie di strumenti che la teoria gli fornisce2, ha la capacità di "aprire gli effetti di senso e di guardarci dentro" operando, più in senso conoscitivo che normativo, una descrizione adeguata dei modi e delle condizioni attraverso cui la significazione accede a quel piano di fenomenicità che l’analista stesso si trova di fronte ma rispetto a cui deve stabilire una necessaria distanza analitico-osservativa. Il testo è dunque un concetto metodologico applicabile a tutti i fenomeni di significazione e comunicazione per permettere al semiologo di gettare uno sguardo coerente sulla molteplicità dei media e dei linguaggi di manifestazione. Perché, come sostiene anche Galofaro "…tutto ciò che esiste, pragmaticamente, è testo e nient’altro, ed è sempre e comunque su testi che lavoriamo quando creiamo, modifichiamo, tagliamo, correggiamo bozze, proponiamo integrazioni e quant’altro" (Galofaro, 2002, p. 10). Appare chiaro dunque il vantaggio che questo tipo di approccio analitico può portare a tutti quei processi di "produzione testuale" che si dispiegano continuamente nel lavoro di agenzia. Come precisa anche Ceriani, lo "sguardo semiotico" offre la possibilità di agire consapevolmente su qualsiasi supporto di comunicazione e lo fa tramite una griglia analitica (v. supra nota 2) che "serve a rintracciare l’insieme degli effetti di senso che esso potenzialmente contiene, a partire dalle diverse relazioni significanti ivi inscritte" (Ceriani 2001, p. 12). Nel lavoro creativo (come del resto in tutti i fenomeni di significazione e comunicazione che si dispiegano nella vita sociale) ci sono delle intenzioni e ci sono dei codici attraverso cui comunicarle; l’approccio semiotico serve ad individuarne i rapporti reciproci (Cfr. Ibidem).

Mauro Ferraresi in un suo recente volume sulla pubblicità (Ferraresi 2002), quando tratta i procedimenti di esecuzione di una campagna, usa proprio il termine testualizzazione per designare i processi di concretizzazione delle idee creative (Cfr. Ibidem, p. 84). E’ indicativo, per ciò che si vuole sostenere in questa sede, che l’autore utilizzi lo stesso termine sia per descriverne alcune implicazioni semiotiche sia per denominare tutte quelle problematiche di ordine pratico-esecutivo che si incontrano in fase di realizzazione di una campagna. La testualizzazione è dunque considerata da Ferraresi come l’esecuzione di una idea creativa che però non è mai scevra da problemi di senso e di traduzione, aspetti evidentemente semiotici del fenomeno (Cfr. Ibidem, pp.85-86). Rivalutando quanto sopra si è detto al riguardo delle competenze del semiologo, del suo specifico modo di definire i testi e di operare su essi, si rendono evidenti i vantaggi di un possibile intervento semiotico in fase di supporto al lavoro creativo di agenzia; vantaggi rilevati anche dallo stesso autore in più parti del volume.

L’intervento semiotico nelle fasi di lavoro in agenzia

Tuttavia la testualizzazione, per come è intesa nel libro di Ferraresi, è una procedura esecutiva che avviene a seguito di tutta una serie di fasi attraverso cui si struttura l’intero lavoro di agenzia. L’approccio semiotico non può limitarsi ad intervenire in questa fase, i suoi vantaggi possono mostrarsi ben prima, anche durante le fasi che precedono l’esecuzione. In sostanza il semiologo può assistere i professionisti di agenzia in tutte le fasi del processo creativo supportandoli con le sue peculiari competenze maturate nel trattamento dei processi di significazione e comunicazione. Vediamo quali sono queste fasi e come in ognuna di esse possa inserirsi l’intervento semiotico.

Pur avendo partecipato concretamente al supporto di alcune di queste fasi nelle nostre esperienze consulenziali, preferiamo trattarle nella loro corretta concatenazione generale riferendoci a come essa viene presentata nel libro di Ferraresi di cui adottiamo anche le denominazioni e le rispettive definizioni (Ferraresi 2002, pp. 51-73).

La prima fase è quella dell’acquisizione del brief. E’ una fase di cui si occupa prevalentemente il responsabile dei rapporti con il cliente, l’account a cui possono aggiungersi i dirigenti dell’agenzia nel caso di clienti importanti e ad alto budget. Il semiologo interviene sul brief nel momento in cui esso viene portato in agenzia, nel momento in cui inizia a rifletterci l’apparato creativo dell’agenzia. Il brief non è altro che un documento in cui sono esplicitati gli intenti che il cliente vuole perseguire con l’attivazione di una campagna di comunicazione3. In esso viene per sommi capi descritta la situazione attuale che il cliente desidera modificare (o rafforzare) e la situazione che egli auspica di realizzare in seguito al lancio della campagna. Il semiologo aiuta il momento di riflessione sul brief perché è in grado di analizzarlo per individuare dei possibili assi valoriali e concettuali verso cui poter cominciare ad indirizzare il lavoro creativo. Questi assi valoriali servono però soltanto ad un primo orientamento operativo dato che emergono esclusivamente dal documento guida costituito dal brief, redatto spesso in maniera molto sintetica e da cui si possono ottenere solo le informazioni che il cliente ritiene pertinenti per le sue esigenze comunicative immediate.

Ma le informazioni che si ottengono dal brief spesso non sono sufficienti per avere una più ampia panoramica sulla situazione complessiva del cliente. Si passa dunque ad una fase successiva denominata analisi situazionale e di benchmarking. Questa fase ha come obiettivo il completamento delle informazioni che emergono dal brief e dal materiale fornito direttamente dal cliente. E’ la fase in cui, come dice Ferraresi, "fioccano le domande di marketing". In questa fase vengono verificate le informazioni fornite dal brief mettendole a confronto con le informazioni che si possono reperire direttamente. L’analisi situazionale "è composta dallo studio dell’andamento di marca, dallo studio del comportamento del consumatore, dallo studio delle tendenze della categoria merceologica di appartenenza e dal benchmarking" (Ferraresi 2002, p. 54). In questa fase il semiologo interviene con le sue competenze di analisi testuale operando analisi desk4 su tutto il materiale reperibile riguardante sia il communication mix del cliente sia quello dei suoi immediati competitors (materiale pubblicitario above e below the line, immagine di marca, immagine di prodotto, comunicati stampa, siti web, punti vendita e quant’altro). L’obiettivo è quello di supportare l’analisi comparativa di marketing con un approccio analitico semiotico che dall’analisi di vari supporti di comunicazione può giungere a rilevare le strategie prevalenti attraverso cui sono gestiti gli effetti di senso da parte del committente e dei suoi concorrenti nel suo stesso settore di mercato. Ciò fornisce all’apparato creativo una conoscenza aggiuntiva che non limita l’esito dell’analisi comparativa a mere considerazioni di marketing operativo. Lo stesso vale per il benchmarking, che consiste nel passare in rassegna le migliori idee pubblicitarie esistenti, indipendentemente dal settore di mercato di provenienza, idee che si reputano utilizzabili per le esigenze del committente del momento (Cfr. Ferraresi 2002, p. 54). E’ evidente come anche qui il semiologo debba compiere analisi testuali volte a rilevare le condizioni di produzione di significazione nei testi pubblicitari presi in esame, facilitando in tal modo una più completa comprensione delle strategie creative collocate a monte delle campagne considerate. Nel loro insieme analisi situazionale, comparativa e benchmarking servono a definire il posizionamento comunicativo del cliente e dei suoi competitors, definizione su cui interviene concretamente il semiologo perché dotato di strumenti come il quadrato semiotico5 e il mapping semiotico6 che possono essere affiancati alla mappa percettiva7,correntemente usata dai pubblicitari per visualizzare il posizionamento comunicativo in un settore di mercato. A questo punto le coordinate operative per l’apparato creativo sono già abbastanza delineate e già si cominciano a concretizzare delle idee nelle varie sessioni di brainstorming che accompagnano ogni fase (e su cui torneremo più avanti).

Tuttavia i creativi necessitano di informazioni più dettagliate sul "lettore modello" delle proposte che stanno elaborando. Si passa dunque alla terza fase, quella dell’analisi del target. E’ la fase in cui è richiesta la massima collaborazione da parte del cliente che deve fornire informazioni quanto più dettagliate sul proprio target di riferimento, informazioni che spesso sono frutto di ricerche field commissionate dal cliente stesso ad un istituto di ricerche di mercato. Da queste ricerche si ottengono sia dati quantitativi sia informazioni qualitative quali profilo sociodemografico, psicografico e comportamento di consumo del target. Come già specificato (v. supra nota 4) e come sottolinea anche Ferraresi (Cfr. p. 57), nel lavoro di agenzia non si compiono solitamente indagini dirette sul target e non perché non ritenuto necessario ma per ragioni di budget, di struttura e soprattutto di tempi. Le riflessioni in agenzia sul target costituiscono quindi un lavoro di seconda mano in cui anche il semiologo prende attivamente parte. Il semiologo è infatti in grado di "leggere i risultati delle indagini effettuate presso i consumatori (qualitative o quantitative), riconducendo le opinioni espresse alla responsabilità dei segni coinvolti nella strategia di comunicazione" (Ceriani 2001, p. 24). La semiotica applicata al marketing considera il target come una "struttura di dialogo" (Cfr. Ceriani 2001, pp. 62-69) la cui attività di consumo è una vera e propria attività di comunicazione intesa come "scambio di effetti di senso" e non come un semplice concatenarsi di attività di codifica e di decodifica (Cfr. Ibidem, p. 63). Il vantaggio offerto dalla semiotica nell’analisi del target in agenzia sta proprio nel considerare la relazione contrattuale, che si instaura tra marca e consumatori, come facente parte della strutturazione interna dei testi stessi; la semiotica prevede in tal modo la possibilità di ancorare il destinatario ideale ai modi in cui i testi stessi lo costruiscono tramite le loro scelte enunciative (Cfr. Ibidem, p. 66). Questa è una competenza molto importante da offrire ai creativi che, in fase di progettazione delle proposte comunicative da presentare al cliente, devono fare i conti con la scelta del "tone of voice" più adeguato possibile alle caratteristiche del target di riferimento.

Le fasi successive individuate da Ferraresi, la quarta e la quinta, sono rispettivamente la sintesi e la definizione degli obiettivi. Sono fasi riepilogative delle fasi precedenti che servono a fare il punto della situazione sulle analisi e gli studi condotti fino a questo momento per fissare gli obiettivi (sia di marketing che di comunicazione) da perseguire con la realizzazione della campagna. Dato che la delineazione degli obiettivi deve scaturire, come afferma Ferraresi, da una "intelligenza collettiva", anche il semiologo che lavora per un’agenzia deve partecipare alla loro stesura per potervi inserire gli esiti delle proprie analisi.

La sesta fase consiste nella raccolta e organizzazione di tutte le informazioni riguardanti il cliente che sono emerse nelle fasi analitiche precedenti. Si tratta di definire concretamente il posizionamento del cliente. Abbiamo già accennato ad alcuni strumenti (quadrato e/o mapping) che il semiologo possiede per contribuire alla definizione del posizionamento comunicativo degli attori che operano in un determinato settore di mercato. In questa fase si tratta di concentrare la loro applicazione interamente sul cliente utilizzando chiaramente anche i risultati dell’analisi precedente. Devono essere presi in considerazione tutti gli aspetti che costituiscono il communication mix del cliente, il suo target, le caratteristiche proprie della marca e dei suoi prodotti a cui vanno aggiunti gli aspetti più tecnici che definiscono il posizionamento di marketing strettamente inteso, quali politiche di prezzo, strategie di distribuzione, categorie merceologiche dei prodotti ecc.. Dal punto di vista semiotico il posizionamento è considerato come "un’operazione complessa di rivestimento di una differenza che permette sia l’affermazione di un’identità sia la sua identificazione. "Posizionare" significa costruire la personalità della marca/del prodotto in questione, attribuirle una forma di espressione e una forma di contenuto, insomma decidere in cosa consista il suo "mondo costruito", ciò che esclude, ciò che include" (Ceriani 2001, p. 48). Il principio di differenziazione è dunque la caratteristica su cui si basa il concetto di posizionamento ed è anche un principio cardine non solo per le strategie di marketing ma anche per la teoria semiotica in cui la significazione è definita in modo differenziale, cioè "…in termini di valori relativi che si determinano gli uni in rapporto agli altri" (Greimas-Courtés, 1979, p. 377 della tr. it.). La semiotica tende a definire il posizionamento a partire dall’individuazione delle valorizzazioni soggiacenti all’immagine di marca/di prodotto, valorizzazioni che emergono da un approccio analitico che considera il valore come "il punto di vista sul mondo di cui si impossessa il soggetto discorsivo per stabilire la sua identità e il suo carattere" (Ceriani 2001, p. 49). Per concludere sul supporto semiotico nell’analisi del posizionamento non dobbiamo dimenticarci che grazie a Floch la semiotica ha potuto mettere in evidenza i suoi vantaggi nelle sue applicazioni al marketing e alla comunicazione. Vantaggi che vanno in direzione di una maggiore intelligibilità, una maggiore pertinenza, una maggiore differenziazione (Cfr. Floch 1990, pp. 43-58 della tr.it.), e che Ceriani non ha omesso di ricordare proprio in relazione alla modalità attraverso cui la semiotica affronta la questione del posizionamento: intelligibilità nel supportare "il passaggio da un concetto alla sua realizzazione coerente" e "nell’ottenimento di un’efficacia e di una chiarezza della comunicazione tra il contesto di partenza e il contesto di arrivo"; pertinenza perché garantisce "il rispetto dei vincoli pertinenti alla property della marca e anche di quelli necessariamente legati alla sua evoluzione"; differenziazione poiché "è solo lo scarto differenziale che determina il posizionamento rispetto ai concorrenti" scarto che può essere gestito in maniera sottile "a più livelli, dalla manifestazione di superficie ai toni del discorso, dalla struttura narrativa alla concatenazione dei valori" (Ceriani 2001, p. 53).

Susseguentemente al lavoro sul posizionamento si giunge alle due fasi che precedono la presentazione delle proposte al cliente: l’elaborazione della copy strategy e del copy brief e la stesura del piano integrato di comunicazione. Sono nuovamente due fasi di ordine riepilogativo e di programmazione operativa, ma sono quelle, per dire così, definitive e quindi importantissime per il prosieguo delle attività di agenzia. La copy strategy e il copy brief sono i documenti (il primo più strategico, il secondo più operativo) che derivano dalla sintesi globale di tutte le fasi precedenti. Il semiologo partecipa alla loro stesura apportandovi gli esiti delle sue analisi e valutando la coerenza tra le azioni comunicative programmate e gli obiettivi di marketing prefissati. Il piano integrato di comunicazione è invece il documento di concreta pianificazione operativa in cui tipologie di azioni e tempificazioni correlate sono presentate nel loro ordine di attivazione cronologica. Il piano serve a tutti, semiologo di agenzia compreso, ad avere una chiara visione delle azioni da attivare e dei relativi tempi di lavoro (e di analisi) da investire in ciascuna delle azioni pianificate.

A questo punto, dunque, non resta che presentare le proposte al cliente, sarà nuovamente l’account ad occuparsi di questa fase, account che non solo ha continuato a mantenere i contatti con il cliente ma che ha partecipato direttamente a tutte le fasi di lavoro soprattutto nei momenti di brainstorming. Il semiologo di agenzia ha un ruolo anche qui, soprattutto nella preparazione della presentazione delle proposte al cliente. Con il termine brainstorming8, (forse un po’ inflazionato e desueto ma che comunque qui fa al nostro caso), intendiamo tutti quei momenti di discussione e riflessione creativa che attraversano tutte le fasi di lavoro sopra descritte. Sono i momenti che preparano le operazioni in cui prendono forma e si concretizzano progressivamente le idee creative man mano che le fasi di cui abbiamo parlato si susseguono. L’account affianca in questi frangenti l’art e il copy "per verificare se quanto sta prendendo forma […] corrisponde a ciò che colui crede che il cliente desideri" (Ferraresi 2002, p. 29). L’account segue il cliente in ogni sua minima esigenza e cerca di portare le istanze di quest’ultimo dentro l’agenzia, a volte dovendo addirittura cercare di prevederle (Cfr. Ibidem). Anche l’account può ricevere un supporto nelle sue mansioni da parte del semiologo, soprattutto nella fase cruciale della presentazione delle proposte creative al cliente. A tal fine il semiologo partecipa a tutte le sessioni di brainstorming non tanto per intervenire attivamente influenzando le idee che vengono proposte. Abbiamo già più volte precisato che questo non è il suo compito. Il semiologo in queste fasi deve soprattutto ascoltare e osservare (analiticamente s’intende) ed intervenire solo se riscontra delle incongruenze rispetto agli esiti delle analisi effettuate o se interpellato per consigli specifici. Tali osservazioni saranno utili soprattutto per poter individuare le basi concettuali e valoriali su cui sorgono le proposte e per poterle quindi meglio supportare con una adeguata relazione di presentazione.

La relazione di presentazione o di accompagnamento delle proposte è il documento vero e proprio che stende interamente il semiologo e che, diciamo così, "esce" dall’agenzia. Esso, infatti, può essere allegato alle proposte come supporto esplicativo ulteriore che il cliente potrà leggere con calma se vuole riflettere per prendere la sua decisione definitiva; oppure può essere utilizzato dall’account per usufruire di ulteriori elementi di argomentazione durante la sua presentazione delle proposte al cliente. La relazione di presentazione deve scaturire da una analisi semiotica delle proposte nei loro possibili supporti di presentazione (lay-out, story-board, mock-up, animatic, rubamatic, ecc.). L’analisi dovrà rendere chiaro al cliente il funzionamento degli effetti di senso che si producono con le proposte portategli in visione. Tuttavia il cliente non dovrà leggere (o sentire esporre dall’account) una vera e propria analisi semiotica. Il semiologo nello stendere la relazione deve avere l’accuratezza di levigare i propri tecnicismi metalinguistici e dovrà farlo con buone capacità di sintesi, per rendere leggibile il documento e facilitane l’esposizione da parte dell’account. Nella stesura della relazione, account e semiologo devono quindi operare in stretta collaborazione. Il primo perché conosce le esigenze del cliente e ha in mente le modalità argomentative attraverso cui poter supportare le proposte, il secondo perché deve basarsi su queste esigenze per poter rendere i propri esiti analitici esponibili e linguisticamente accessibili.

Come abbiamo visto l’intervento del semiologo può apportare il proprio sostegno in ogni fase del processo operativo di agenzia. Prima di concludere, tentiamo qui di seguito di offrire una schematizzazione (Fig. 1) su come possono procedere insieme lavoro di agenzia e intervento semiotico. Si tratta chiaramente di uno schema tipo, assolutamente non rigido e che non ha pretese di universalità. Il lavoro in agenzia e l’eventuale contributo semiotico possono dispiegarsi in modalità anche molto diverse variando a seconda delle esigenze operative determinate sia dal tipo di lavoro richiesto, sia dai tempi e dai budget, sia dalla struttura stessa dell’agenzia. Si tratta quindi di un semplice tentativo di visualizzazione di quanto esposto fino ad ora.

Lavoro di agenzia e intervento semiotico

Fig. 1:



Brevi conclusioni: il semiologo di agenzia come "communication analyst"

Come sostenuto in apertura non è nostro intento voler dettare una volta per tutte le coordinate operative del consulente semiotico. Queste nostre riflessioni, che sicuramente necessitano di maggiori integrazioni e sviluppi, nonché di critiche e obiezioni, sono state mosse sia dall’intento di esporre alcuni dei preziosi suggerimenti operativi che un libro come Marketing Moving fornisce a chi voglia cimentarsi in questa professione, ma anche dalla volontà di avviare un’opera di sensibilizzazione nel mondo delle agenzie di pubblicità e comunicazione nei confronti delle competenze che possono offrire i semiologi nel supportare le loro attività. Ferraresi stesso individua questa necessità quando afferma che:

"…governare i messaggi è un affare complesso. […] richiede competenze non sempre alla portata del pubblicitario. Per questi motivi si è assistito negli ultimi anni a un progressivo aumento della presenza all’interno del mondo pubblicitario di discipline come la semiotica, che da sempre hanno studiato il senso." (Ferraresi 2002, p. 87).

E la collaborazione stretta fra semiotico e pubblicitario è necessaria non solo perché a quest’ultimo "certi sofisticati meccanismi semiotici" possono sfuggire, ma soprattutto perché la sua "smodata attenzione al cliente e al target" riescono a ridimensionare un certo eccedere in "astratte formalizzazioni" che spesso caratterizza i lavori dei semiologi.

Un’ultima cosa ci preme sottolineare: l’intervento del semiologo non rallenta e non appesantisce assolutamente lo svolgimento del lavoro di agenzia. Il semiologo, come abbiamo visto, partecipa attivamente e concretamente in tutte le fasi, ma poi svolge le proprie analisi simultaneamente allo sviluppo creativo; analisi che trovano infine un sintetico epilogo nella relazione di presentazione delle proposte al cliente.

Il semiologo, in definitiva, potrebbe addirittura entrare a far parte dell’organico di agenzia per rivestire un ruolo cruciale che noi proponiamo molto timidamente di denominare communication analyst, tanto per sintonizzarci sulla tendenza, ormai diffusa e consolidata, nel ricorrere ai termini anglosassoni per definire le figure professionali che operano in ambito pubblicitario.

Note

1 Devo un sentito ringraziamento all'agenzia Milc - Interactive Communication di Siena con cui ho collaborato; in particolare alle persone di Marco Iannucci (Manager) che ha creduto nell'utilità del supporto semiotico nel lavoro di agenzia, Leonardo Chianini (Art Director), Giampiero Cito (Copywriter), Matteo Lotti (Art Junior), Andrea Porciatti (Copywriter) e Gabriele Barbucci (Strategy Planner) con i quali ho lavorato gomito a gomito in fruttuosa sinergia su progetti stimolanti in cui ho potuto mettere oncretamente alla prova le mie competenze semiotiche. Senza tutti loro non avrei avuto le motivazioni sufficienti a stendere queste riflessioni.[torna al testo]

2 Non passeremo in rassegna gli strumenti che utilizza il semiologo nell'analisi dei testi. Gli strumenti mostano la loro efficacia nella loro applicazione concreta, parlarne teoricamente richiederebbe una trattazione che non può trovare collocazione in questo articolo. Tuttavia si può dire che la maggior parte degli strumenti di cui parliamo trovano posto in un odello molto generale che rende conto dell'articolazione e dell'organizzazione del senso dagli strati più profondi della sua costituzione fino alla manifestazione testuale che lo rende percepibile. Questo modello, questo simulacro teorico, prende il nome i Percorso Generativo della significazione.[torna al testo]

3 In questo caso consideriamo solo questo tipo di esigenza da parte di un potenziale cliente, ma come si può immaginare il cliente può rivolgersi ad una agenzia, producendo quindi appositi brief, per tutta una srie di interventi sui vari elementi che compongono il proprio communication mix: brand (nome, logo, immagine coordinata), product image (nome, design, packaging), punto vendita, sito web (sul communication mix Cfr. Ceriani 2001).[torna al testo]

4 Sulla distinzione tra dsk e field si rimanda al volume di Giulia Ceriani (2001) in cui sono presenti molti esempi di svolgimento operativo di queste due tipologie di analisi. Qui ci riferiremo soprattutto ad analisi di tipo desk perchè stiamo parlando dell'intervento semiotico el lavoro di agenzia, una struttura che, diversamente dagli istituti di ricerca, non contempla un settore interno dedicato alle indagini field, non sempre consone, tra l'altro, ai tempi operativi delle agenzie. Solitamente i risultati di analisi field venono forniti all'agenzia dal cliente che li ha preventivamente commissionati ad un istituto di ricerca. Questi risultati costituiscono informazioni aggiuntive e utili per per giungere ad una comprensione approfondita del target di riferimento del cliente.[torna al testo]

5 Per una definizione teorica di quadrato semiotico si veda la voce relativa in Greimas e Courtés 1979. Per le sue applicazioni concrete in ambito di marketing e comunicazione pubblicitaria si vedano Floch 1990 e 1995, Ceriani 2001, Marrone 2001.[torna al testo]

6 Sul maping semiotico si veda soprattutto Semprini 1993 ma anche Ceriani 2001 e Marrone 2001.[torna al testo]

7 Cfr. Ferraresi 2002, p. 55.[torna al testo]

8 Spesso si usa anche il termine briefing per denominare le riunioni operative in agenzia, ma qui preferiamo utilizzare brainstorming perhè con questo termine intendiamo riferirci precisamente alle sessioni di lavoro creativo vero e proprio. Attribuiamo briefing invece a quelle discussioni collettive che, diciamo così, "fanno il punto della situazione" e delineano gli steps successivi. Queta distinzione non é sempre nettissima, soprattutto in realtà operative di ridotte dimensioni dove spesso ci si trova a fare contemporaneamente le due cose.[torna al testo]

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