Ocula zero, dicembre 2000

L'organizzazione discorsiva dei programmi televisivi: l'esempio di "Quelli che il calcio…"


 

di Cinzia Bianchi



Abstract>(Estratto da "Quelli che il calcio..." in U. Volli (a cura di) I culti televisivi, in corso di pubblicazione)


L’espressione "organizzazione discorsiva" indica in generale il modo attraverso cui ognuno di noi sceglie di comunicare e raccontare ciò che pensa o ciò che gli è capitato. L’organizzazione discorsiva è cioè la forma di ciò che ogni comunicazione propone indipendentemente dai contenuti.

Per quanto riguarda i programmi televisivi, come nel caso della nostra analisi specifica, rientra in tale capitolo tutto ciò che pertiene la "messa in scena": lo spazio del programma (l’allestimento scenografico e l’illuminazione ma anche il lavoro di regia nel suo complesso) e il tempo del programma (lunghezza e ritmo). Può essere considerato parte dell’organizzazione discorsiva, a nostro avviso, anche tutto ciò che riguarda la conduzione: il numero dei conduttori, la loro funzione, il loro stile e così via.

Sebbene possa sembrare arbitrario isolare pochi tratti di un testo sincretico come quello televisivo, riteniamo che ciascun elementi dell’organizzazione discorsiva non abbia la stessa rilevanza in ogni programma. Per quanto riguarda "Quelli che il calcio..." ci sembra che gli elementi fondamentali dell’organizzazione discorsiva siano essenzialmente due: la conduzione e il lavoro registico.

La conduzione di Fabio Fazio. Non c’è dubbio infatti che la conduzione di Fazio sia l’elemento portante della trasmissione. Anche la presenza in studio di alcuni co-conduttori subordinati (i veri "esperti" di calcio) e di un numero variabile di inviati negli stadi viene sempre mediata dal conduttore principale. Tra i co-conduttori ci possono essere conduttori radiofonici ormai in pensione (Nando Martellini o Stefano Carloni) oppure inviati "improvvisati" (parenti dei calciatori, personaggi dello spettacolo, ecc.). Il compito del conduttore principale è quello di tessere la tela della puntata, presentare ospiti e inviati, dialogare con loro, regolamentare i turni di parola.

Lo stile di conduzione di Fazio si distanzia da quello di altri conduttori odierni più irrispettosi (Paolo Bonolis, per esempio, che si arrabbia con i concorrenti o con i telespettatori che telefonano da casa quando sbagliano le risposte a domande banali) o che fanno parte di una tradizione di conduzione che trova in Mario Riva, Pippo Baudo e Corrado precursori e maestri (come per esempio la conduzione garbata, moderatamente euforica e un po’ "timida" di Alessandro Greco).

Fazio ha invece una conduzione sicuramente "accentrante" anche se piuttosto informale e ironica; egli ha capitalizzato la sua esperienza di umorista (piuttosto che di imitatore), anche se si pone sempre in modo accorto ed educato, sempre rispettoso dell’interlocutore e del pubblico (per alcuni aspetti perbenista). Come viene riconosciuto da alcuni critici televisivi, oltre ad essere "l’ultimo degli inventori nostrani" (G. Peirce, "Quelli che la domenica perdono contro Fazio" in La Repubblica, 5 ottobre 1998), Fazio "gioca al ruolo del gentile organizzatore" che "ha avuto la grande idea di creare intorno al calcio un autentico teatrino, un piccolo spettacolo nel quale si divertono personaggi curiosi" (Eric Jozsef, "Italie, le "calcio" sur un plateau", Libération, 8 agosto 1997, trad. nostra).

In un’atmosfera cordiale e confidenziale, da teatrino, si consuma durante la trasmissione una specie di gioco al "camuffamento": molti dei "veri" esperti di calcio sembrano essere lì solo perché tifosi di una squadra oppure perché la loro presenza ha una qualche attinenza con il tema della puntata, mentre altri tifosi/ospiti "comuni" possono divenire improvvisamente opinionisti. Al livello di interazione è da notare comunque come tutti (esperti di calcio, celebrità dello spettacolo o ospiti "comuni") e dovunque siano collocati (in studio, in collegamento allo stadio, o al telefono) intervengono comunque solo richiamando l’attenzione o chiedendo la parola al conduttore ("Scusa Fabio, vorrei dire..."; "Scusa Fabio, c’è un palo!").

La temporalità degli interventi -e in sostanza la loro brevità- è un’altra peculiarità dell’organizzazione discorsiva del programma. Gli interventi in studio, come quelli esterni, sono infatti sempre brevi, sempre in attesa di un collegamento con un altro luogo, un altro teatro d’azione e di performance, sempre a rischio di interruzione.

Ecco che allora la valorizzazione della performance discorsiva, della battuta a effetto, del gioco di rimando tra un intervento e il successivo, la costrizione all’allusione per impossibilità di espansione discorsiva, diventano giochi linguistici indispensabili, imposti dai ruoli e dalle regole della trasmissione. E chi, tra i non professionisti, riesce a interpretarli bene, con continuità e abilità inventiva, diventa un personaggio; il vero premio della trasmissione è quello di concedere a chi ha mostrato buone capacità interpretative di tornare in trasmissione. Prova principe di questo gioco collettivo con cui tutti gli interlocutori sono chiamati a misurarsi è quella dello spunto da raccogliere, svolgere, rilanciare.

Ma gli spunti vengono lanciati quasi esclusivamente da Fazio, vero direttore d’orchestra della trasmissione. Forse la sua maggiore abilità di conduzione sta proprio qui, nella sua capacità di gestire i registri discorsivi e il tono emotivo dell’interlocuzione lanciando spunti e dirigendo il corso del loro sviluppo; amplificando dettagli apparentemente insignificanti ma gravidi di risvolti umoristici; attenuando eventuali esplosioni di passione sportiva; cambiando scena e azione appena si profila il rischio di una caduta di ritmo. Nelle pieghe di un discorso timido sa trovare presupposti o impliciti coraggiosi; dietro le apparenze di atteggiamenti moderati riesce, garbatamente, a insinuare la possibilità di irreprimibili anticonformismi, scrutando e soppesando l’effetto raggiunto.

Tuttavia Fazio non è mai offensivo: in chiave ironica può stuzzicare l’interlocutore insinuando dietro una gaffe, una goffaggine, un lapsus, chi sa quali recondite e inconfessabili o mostruose singolarità. Ma se l’interlocutore non raccoglie lo spunto o non mostra di volersi esporre, allora l’ironia e la tempistica dello show gli permettono di scivolare via. Al contrario, chi invece si espone in spunti polemici o in qualche modo eccessivi, viene delicatamente irriso e ricondotto negli alvei dell’ironia.

L’abilità di conduzione di Fazio è in effetti tale che quasi mai la trasmissione e gli intervenuti vanno sopra le righe e anche gli atteggiamenti e le affermazioni più esaltate o le idiosincrasie più irriducibili sono recitate: venire meno a questa regola metterebbe il partecipante fuori gioco. E qui si vede forse con chiarezza come l’aspetto più riuscito della trasmissione sia il suo costituirsi come gioco collettivo in cui ciò per cui si gioca è una divertita e autocontrollata esibizione di sé.

La regia di Beldì. In questo gioco, sempre in sospeso perché può irrompere improvvisamente l'evento calcistico, un ruolo fondamentale ha la costruzione registica.

Dal punto di vista teorico si sottolinea spesso l’importanza della regia e della messa in scena anche nelle trasmissioni in diretta. In ogni programma, lo spazio viene sempre, per così dire, "trattato" dalla regia, che ha il potere di frammentarlo e ricomporlo a suo piacimento, in un gioco di inquadrature e tagli tanto più semioticamente interessante quanto più sofisticato. Nel caso di "Quelli che il calcio..." la particolare regia di Beldì si costituisce come l’altro aspetto di organizzazione del discorso su cui vogliamo soffermarci.

Si può impunemente sostenere che il tratto stilistico della regia di Beldì sia il voyeurismo. Ricercare strettissimi dettagli di mani, occhi, particolari di vestiti e scarpe sembra essere una specie di "mania" di Beldì. Durante le due ore di trasmissione i particolari su cui soffermarsi possono essere infiniti: si passa dai primi piani degli ospiti che guardano allo schermo le partite a quelli dei tifosi più "caratteristici" che si trovano sugli spalti; dall’inquadratura ravvicinata dell’orologio, dei gemelli e del braccialetto di Pier Silvio Berlusconi collegato dallo stadio all’intrusione delle telecamere nella scollatura vertiginosa di Alessia Merz, ospite in studio.

La marca registica di Beldì è ormai nota, dato che in altre trasmissioni come "Lupo solitario", "Araba fenice", "Su la testa!" o "Diritto di replica" si prestava uguale attenzione a tali dettagli. Di recente Beldì ha scritto un libro intitolato Perché inquadri i piedi? (Milano, Zelig Editore, 1997), una delle cinquecento domande che più frequentemente gli sono rivolte alla quale risponde: "Perché non ho abbastanza facce da inquadrare e poi, piuttosto che vedere le stesse facce...".

Ma in "Quelli che il calcio..." il ruolo discorsivo che tale tecnica ricopre sembra sopperire al vuoto lasciato dall’assenza di immagini delle partite in corso. "Guardare coloro che guardano" e carpire dalle loro facce e dai loro "particolari" le emozioni e le passioni che stanno vivendo, con spirito voyeuristico e spesso malizioso: è questa la novità registica della trasmissione, suo tratto distintivo e originale. Se il telespettatore, portato per mano dal regista, si trova in una posizione beatamente voyeuristica, colui che "è guardato", specialmente se è in studio, deve stare al gioco diventando un complice e un attore del teatrino televisivo messo in scena (Fazio: "Vorrei ringraziare, caro Beldì, una volta tanto il pubblico in sala, un pubblico complice... Sono delle facce sempre rassicuranti, un pubblico di amici!", puntata del 23 febbraio 1997).

La regia, attraverso l’azione su tutte le componenti che cadono nel suo dominio di manipolazione (ripresa, titolazione, sonoro, grafica, eccetera), partecipa quindi attivamente al farsi della trasmissione. Talvolta svolge una funzione di enfatizzazione degli argomenti in corso di svolgimento, mentre in altri casi stimola l’invenzione di nuovi giochi e lo svolgimento di nuovi argomenti. Così, ad esempio, il regista partecipa spesso a sviluppare visivamente i giochi messi in moto dal conduttore e dagli ospiti, oppure coadiuva l’attività del conduttore nei momenti di più stretto contatto con i vari interlocutori, scovando ed enfatizzando dettagli curiosi che enucleino tratti meno evidenti della loro personalità. Quando invece la regia procede in modo apparentemente autonomo, opera per fornire spunti per ulteriori annotazioni, sottolineature, giochi. Si può quindi giungere, in certi casi a utilizzare la ripresa con fini diagnostici, per vedere là dove il divieto di trasmissione delle partite impone di fermarsi, ed ecco allora il conduttore commentare attraverso lo sguardo altrui: "Seguiamo l’azione nel volto di..."; oppure "Questa è la passione che si può intravedere dal volto di...".


Cinzia Bianchi