Convegno dell’Università IULM, 29 settembre, 6 ottobre 2023
“La Sua fantasia è abbastanza audace da riuscire a immaginare che ritornerà la pace?”
(Edith Stein, Lettera a Fritz Kaufmann, 13 dicembre 1916)
L’onnipervasività della guerra nel discorso dei media apre interrogativi inquietanti. Nel passato, la Grande guerra portò alla stagione dei fascismi e a una spirale di conflitti culminata nella Seconda guerra mondiale; quale sarà l’impatto della guerra ucraina sulla cultura europea? Per rispondere a questa domanda, un gruppo internazionale di semiotici, sociologi e filosofi si sono interrogati sulle condizioni per ricostruire, dopo il trauma, una cultura di convivenza e per comprendere se sarà ancora possibile attribuire un significato alla pace.
29 settembre, Apertura dei lavori, 0:32 | PERMALINK
Paolo Giovannetti, Direttore del Dipartimento di Comunicazione, arti e media “Giampaolo Fabris” IULM
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29 settembre, Apertura dei lavori, 9:41 | PERMALINK
Francesco Galofaro, IULM
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Poetic Litanies in response to war
29 settembre, Interventi di apertura, 40:18 | PERMALINK
Witold Sadowski, University of Warsaw
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Ukrainian women and obscene language as a way of resistance in the context of the Russian-Ukrainian war
29 settembre, Interventi di apertura, 1:02:36 | PERMALINK
Mariya Shcherbyna, Department of Philosophy, Culture Studies and Information Activities, V. Dahl’s East UkrainianNational University Visiting professor
Keywords: feminist discourse, womantory, obscene language, personal narratives, Russia-Ukraine war
Since the beginning of Russia's full-fledged invasion of Ukraine both the media and academia have turned to personal narratives to understand how the war has changed the identities of Ukrainians. The roles of Ukrainian women have become extremely diverse. The number of women in the military force reached 32 thousand, which is one of the largest amount in the world; the Ukrainian volunteer movement - both military and civilian - is also predominantly female, and, according to UN Women and CARE International, 90 percent of temporarily displaced Ukrainian adults are women, meaning that they have become de-facto single mothers, the sole breadwinners and caregivers of families, including their elderlies, children, and pets. The female perspective - women's experience and women's view here and
now, after the active - and visible - participation of individual women and women's organizations in critical for the state activities during the war, can no longer be overlooked as auxiliary to history and secondary. Thought about women’s liberation from the social role of a compliant girl, both verbally and nonverbally, and found their ground in the turbulent times - and so we came to the topic of the study. We try to describe how the war-induced changes have affected the (self)perception of Ukrainian women through the use of obscene language, which can help to survive in the new reality with the lack of resources, increased workload, and emotional stress. We will analyze personal narratives of Ukrainian women whose life has been drastically changed following Russia’s invasion of Ukraine. It studies how the new reality has been shaping the new gender socialization which influence women’s language identity, in particular, through obscene language, and how this affected their self-perception and social expectations. From this perspective, we try to grasp the changes in female speech after the beginning of the war with Russia in 2014 and after the Russian full-fledged invasion on Ukraine in 2022. It also sketches the major functions of expletives in female speech in the army and in the civilian setting. This research is based on 27 semi-structured interviews conducted in September-October 2022 among the Ukrainian women (combatants, volunteers, refugees and women who chose to stay in their constantly bombing cities), that we analysed through the lens of the combination of the structural and dialogic narrative analysis. Keywords: feminist discourse, womantory, obscene language, personal narratives, Russia-Ukraine war
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Nella mente di Putin: Il dibattito televisivo attorno al caso Orsini
29 settembre, Interventi di apertura, 1:32:19 | PERMALINK
Antonio Santangelo, UNITO
Affinché, in tempi di guerra, si possa raggiungere la pace, è importante poter parlare di quest’ultima, ponendola al centro del dibattito pubblico. C’è stato un periodo, però, in cui in Italia questo era molto complicato e chi ci provava rischiava di andare incontro a esperienze spiacevoli. Per esempio, all’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, Alessandro Orsini ha tentato di portare all’attenzione dei telespettatori del nostro Paese le sue teorie circa le ragioni che avevano spinto Putin a entrare in guerra: la sua argomentazione era che solo accettando il dialogo con lo stesso Putin e comprendendo quali fossero il suo punto di vista e i suoi obiettivi, si sarebbe potuta intavolare con lui una trattativa. Il problema era che questo avrebbe imposto di tratteggiare l’Occidente e la Nato in termini negativi, dato che nella narrazione del presidente russo eravamo noi i “cattivi”. E, anche se Orsini proponeva un complesso impianto enunciazionale dei propri discorsi, nel quale sosteneva di non prendere le parti di Putin, ma mostrava anche il susseguirsi di una serie di fatti oggettivi che andavano contro gli interessi del popolo russo e che, secondo lui, avevano portato lo stesso Putin a decidere di attaccare l’Ucraina (Orsini, 2022), nei programmi tv in cui veniva invitato, il politologo italiano era contrapposto a una serie di persone che, in numero soverchiante, si coalizzavano contro le sue posizioni e le attaccavano con veemenza. In questo modo, la verità secondo cui andava difeso il diritto degli ucraini ad autodeterminarsi, nonché quello dell’Europa di difendere i propri confini, veniva ristabilita, pur avendo lasciato spazio a forme di pensiero alternative.
Questi meccanismi di comunicazione sono interessanti da studiare, perché partendo dall’assunto banale secondo cui i media mediano la nostra esperienza del mondo, consentendoci di formarci un’opinione circa la “verità” di ciò che accade attorno a noi, essi ci impongono di riflettere su come ci convinciamo che le cose stiano in un modo oppure in un altro. A questo proposito, può essere utile interrogarsi proprio su come la struttura enunciazionale dei discorsi che vengono portati avanti in televisione contribuisca a costruire una certa visione che si impone nel dibattito pubblico (Pezzini, 1999; Marrone, 1998; Demaria, Grosso, spaziante, 2002). Ma può essere altrettanto importante riprendere alcune categorie echiane (Eco, 1990), a proposito delle logiche di formazione della verosimiglianza nei testi che parlano della realtà, come fa Lorusso nei suoi studi sulla post-verità (Lorusso, 2018).
In generale, dato che il dibattito televisivo attorno al caso Orsini è stato anche quello tra chi cercava una via per immaginare una trattativa di pace e chi, invece, riteneva che nulla di tutto ciò fosse perseguibile, almeno fino a quando la Russia e Putin non avessero deciso di porre un freno alla loro sete di conquista, l’analisi che qui si propone verterà, appunto, sul tema del rapporto tra la guerra e la pace stessa, o meglio tra discorsi che tratteggiano queste ultime come qualcosa di tristemente inevitabile o di coraggiosamente perseguibile.
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Il conflitto e le sue immagini: analisi
29 settembre, Guerra e comunicazione, 2:23:36 | PERMALINK
Maria Pia Pozzato, UNIBO
Si procederà all'analisi di alcune immagini emblematiche del conflitto fra Russia e Ucraina al fine di enucleare lo sfondo semantico-valoriale su cui la stampa colloca le parti in campo e le loro ragioni
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Un modello di fratellanza Cristiano-mussulmana: Paolo Dall’Oglio e la comunità di Deir Mar Musa
29 settembre, Guerra e comunicazione, 2:48:09 | PERMALINK
Paolo Bertetti, UNITO
Il nostro contributo si concentra sulla costruzione della pace, e sul modo in cui essa può essere perseguita, anche in una terradi conflitti, attraverso l’incontro e l’ibridazione delle culture: una pace che è il risultato di un progetto di convivenza che è anche traduzione e risemantizzazione, costruzione di un senso condiviso che trascende le opposizioni. In questo senso, la comunità monastica “Al-Khalil”, fondata dal Padre gesuita Paolo Dall'Oglio negli anni Ottanta all’interno del Deir Mar Musa al-Abashi (Monastero di san Mosè l'Abissino), un antico monastero bizantino del VI secolo nel deserto, fra le montagne a nord di Damasco, ponendosi – fin dalla scelta della sua collocazione – come luogo fisico e simbolico di incontro fra Cristiani e Mussulmani. Si tratta di una comunità interconfessionale, che vede convivere cattolici ed ortodossi ed è, come il suo fondatore, fortemente impegnata nel dialogo con il mondo islamico, continuando ancor oggi, a dieci anni dalla scomparsa di Padre Dall’Oglio – rapito il 29 luglio 2013 dall’ISIS e mai ritrovato – la sua opera di mediazione e di pace.
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Pugno ergo sum: uniformati e divisi per un’identità collettiva
29 settembre, Guerra e comunicazione, 3:13:06 | PERMALINK
Eleonora Chiais, UNITO
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29 settembre, Guerra , tecnica , saperi, 3:54:31 | PERMALINK
Jenny Ponzo, UNITO
Il programma narrativo della guerra è apparentemente molto semplice, in quanto contrappone un soggetto e un anti-soggetto in competizione per un certo oggetto di valore.
Oltre a quello dei due contendenti, c’è in ogni racconto di guerra anche un altro ruolo attanziale, però più problematico: quello della vittima. L’intervento si propone di riflettere su quest’ultimo ruolo. Partendo dallo studio di un corpus di testi, specialmente letterari, si leggerà il ruolo della vittima nei termini di una non-soggettività, legata all’impossibilità di avere e perseguire il proprio sistema di valori e di agire di conseguenza. La complessità e l’interesse dei non-soggetti per la teoria semiotica non dipende solo dal fatto che ricoprono un ruolo che mette in questione la struttura classica del sistema attanziale di Greimas, ma soprattutto dal fatto che la rappresentazione dei non-soggetti è praticamente inscindibile da una dimensione patemica e morale: i non-soggetti sono soggetti privati della loro identità, della loro agentività, della loro libertà. Non a caso la semiotizzazione della loro memoria è particolarmente curata e particolarmente problematica nel post-conflitto, come hanno ampiamente dimostrato ad esempio gli studi sulla costruzione della memoria culturale legata ad eventi traumatici, quali appunto la guerra.
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29 settembre, Guerra , tecnica , saperi, 4:17:10 | PERMALINK
Alvise Mattozzi, POLITO
La guerra ha sempre necessitato di saperi tecnici e con la modernità questi sapere sono stati formalizzati nel complesso dei saperi ingegneristici, dato che è per esigenze militari che si costituisce e si formalizza l'ingegneria nel XVIII e XIX secolo. L'ingegneria nasce dunque come sapere della guerra. Quest'ultima dunque lungi dall'essere una manifestazione della ignoranza umana, come spesso viene dipinta, richiede, genera, mobilita saperi, conoscenze, competenze, tra cui quelle dell'ingegneria.
La guerra, dunque, come dispositivo epistemico.
Può la pace divenire un dispositivo epistemico? e se si come la pace può mobilitare l'ingegneria e i sapere tecnici?
L'intervento non intende tanto rispondere a queste domande, quanto articolare e delineare delle piste per cercare delle risposte, nonché, possibilmente, individuare possibili pratiche conseguenti.
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Desiderio di neutro e solidarietà passiva. Il posto della pace oltre la logica dell’identità
29 settembre, Guerra , tecnica , saperi, 4:41:49 | PERMALINK
Giorgio Borrelli, UNIBA
Negli anni che vanno dal 1984 al 1989, lo European Coordination Centre for Research and Documentation in Social Science di Vienna – per iniziativa del filosofo del linguaggio Adam Schaff (1913-2006) – promosse un ciclo di seminari focalizzato su un’analisi semiotica dell’Atto finale degli Accordi di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (1975). Questo importante trattato – sottoscritto sia da Paesi appartenenti ai “Blocchi”, sia da Paesi “non allineati” – escludeva la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali e promuoveva la cooperazione dei popoli degli Stati partecipanti al fine di assicurare una pace “vera e duratura”.
Augusto Ponzio (2008) – uno dei partecipanti agli incontri organizzati da Schaff – ha mostrato come le argomentazioni dell’Atto finale riposino su due logiche diverse: da un lato, la logica dell’identità, secondo cui “pace” e “cooperazione” dipendono da un patto tra entità autonome e indipendenti – una visione contrattualista, appunto; dall’altro, una logica dell’alterità basata sulla solidarietà passiva; cioè, sul comune riconoscimento della necessità – indipendente dalle volontà dei singoli Stati – di cooperare in vista di un sistema di tutele reciproche per i differenti popoli; pena la reciproca distruzione e la distruzione stessa del Pianeta. Secondo Ponzio, la prima logica ha prevalso sulla seconda, rendendo l’Atto finale una lettera morta.
Molti anni dopo l’Atto finale di Helsinki, la logica dell’identità sembra prevalere nelle argomentazioni dei discorsi sulla guerra in Ucraina: la logica dell’identità emerge – ovviamente – nelle contrapposizioni paradigmatiche “amico/nemico”, “o con noi, o contro di noi”, “se non sei con noi, sei con loro”. Resta da capire il posizionamento della categoria di “pace” in questo sistema di opposizioni. Non a caso, una categoria invisa a entrambi i poli del conflitto.
Partendo da queste considerazioni, proverò a leggere la categoria di “pace” alla luce del concetto di “Neutro” così come tematizzato da Roland Barthes. Il “Neutro” per Barhtes è il desiderio di eludere il paradigma, la scelta obbligata posta dall’ordine del discorso. In questo senso, il neutro non è “nénéismo” – pur somigliandogli. Il neutro non risponde a un interesse da tutelare – come la neutralità degli Stati, un’ulteriore manifestazione della logica dell’identità. Il “Neutro”, da un lato, schiva il conflitto per sopravvivere alla sua violenza – come il Signor Egge di Bertold Brecht; dall’altro, è un violento No alla violenza – proprio come quello del Signor Egge. Una protesta irriducibile come la disperata vitalità di Pasolini – citato a più riprese da Barthes nel suo Corso sul Neutro del 1977-1978. Il “Neutro” è la rivendicazione del diritto alla stanchezza, intesa come condizione di possibilità del gioco e della creazione. Il diritto – se si vuole, passivo – di arrendersi reciprocamente all’ineluttabilità della presenza degli altri in questo mondo e dunque il diritto di arrendersi all’alterità; con le parole di Barthes: il diritto – reciproco – a essere lasciati in pace. Si potrebbe aggiungere, il dovere di arrendersi alla pace.
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6 ottobre, Discutere di pace e di guerra, 23:21 | PERMALINK
Stefano Bartezzaghi, IULM
Fin dall'antichità la guerra è stata considerata come una forma di agonismo.Oggipossiamo definire l'agonismo come una configurazione discorsiva generale, e generica, all'interno della quale si compie una trasformazione: in una data cornice avviene l'incontro di due soggetti tra loro pari (o supposti tali) che termina in una gerarchia, tale da far riconoscere un prominente e un soccombente. La forma essenziale di tale configurazione si ha nell'agonismo ludico, dove non ci sono altri oggetti di valore che la prevalenza sull'avversario. Ma oltre che nel gioco si ha agonismo nello sport, nella concorrenza commerciale, nella politica, nella guerra. È interessante comprendere quali parametri descrivono l'aggravarsi dell'agonismo. Per esempio, si può parlare di un passaggio dal simbolico al reale o è troppo semplicistico? Altri parametri possibili: comunicazione vs azione; istanza critica vs istanza corporea; convenzioni vs assenza di convenzioni.
La tipologia delle forme agonistiche che se ne può ricavare non è però stabile poiché vi agisce un principio dinamico, che nel discorso pubblico prende il nome di escalation.
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Semantica e sintassi della pace
6 ottobre, Discutere di pace e di guerra, 46:01 | PERMALINK
Juan Alonso Aldama, Université Paris Cité
La prima cosa che si nota nelle definizioni che la maggior parte dei dizionari dà della parola "pace", almeno quelle che riguardano le relazioni tra popoli e nazioni, è che sono tutte di carattere antinomico. La pace, secondo tutte queste definizioni, non ha altra sostanza semiotica che la sua opposizione alla guerra. Al contrario, la guerra non è quasi mai definita nel dizionario in relazione alla pace, cioè come il suo termine opposto; la guerra non è mai assenza di pace. Questa semantica imperfettamente binaria, che non corrisponde a una reale opposizione categoriale, impone una riflessione su altre possibili relazioni semantiche, come quella di "dipendenza" esplorata da Hjelmslev, e mostra la necessità di studiare il significato di questi due termini a partire dalla loro componente sintattica, la quale ne determina infine la semantica.
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Mediazioni simboliche: le parole nel conflitto
6 ottobre, Discutere di pace e di guerra, 1:11:38 | PERMALINK
Paolo Sorrentino, IULM
Lo scoppio del conflitto in Ucraina è stato accompagnato da un intenso dibattito mediatico relativo al rapporto fra linguaggio e guerra. Se questa dinamica è in qualche modo strutturale di ogni conflitto (Fabbri 2022), forse è meno atteso che più delle immagini sono state le parole a fare scandalo. Operazione speciale militare, Genocidio, Resistenza, per stare agli esempi più noti, sono alcuni dei nomi entrati fin da subito nella controversia mediatica. Una sorta di conflitto nel conflitto ingenerato dal rapporto di (in)adeguatezza fra lingua e realtà (Lotman 1993), ma che ci riporta alla funzione performativa della parola (Austin). A partire dagli esempi sopracitati, quindi, l’intervento mira a riflettere sulle dimensioni semiotiche della nominazione all’interno della semiosfera glocale (Sedda e Sorrentino 2019). In particolare, ci si chiede come la semiotica ci può aiutare a riflettere sulla capacità di mediazione simbolica della parola; con quali funzioni i nomi vengono impiegati nel quadro del conflitto; quali sono le loro trasformazioni nel sistema dinamico della glocalizzazione; ma anche come essi sono capaci di configurare dal loro interno i destini della pace.
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Fra guerra e pace, assiologia e retorica
6 ottobre, Discutere di pace e di guerra, 1:33:45 | PERMALINK
Ugo Volli, UNITO
Se si considerano i fatti storici e la lunga elaborazione teorica, giuridica e religiosa che la studia, la guerra non può semplicemente essere contrapposta alla pace come il male al bene. Il punto centrale è chi intraprende la guerra, per quali motivi, con che fini; chi la subisce, come e perché. E’ necessario anche distinguere, come fa il diritto internazionale, lo jus ad bellum e lo jus in bello, che riguardano fasi e comportamenti diversi. L’analisi semiotica può essere utile per chiarire questi problemi, permettendo di comprendere come nella maggior parte delle grandi tradizioni giuridiche e religiose (dal diritto romano alla Torà dalla Scolastica allo Jus Publicum Europeum) compaia la nozione di “guerra giusta”. Solamente su queste basi è possibile prendere posizione sulla legittimità e l’opportunità ertica e politica di ogni singola posizione nei conflitti.
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Documentare la guerra e la pace
6 ottobre, Guerra e comunicazione, 2:31:38 | PERMALINK
Isabella Pezzini, UNIROMA1
L'intervento si situa nell'ambito tematico della rappresentazione, delle sue modalità, dei suoi effetti e della sua efficacia. Lo spunto verrà dal commento del documentario "Guerra e pace" di Massimo D'Anolfi e Martine Parenti (2020), una riflessione sul rapporto fra cinema e guerra negli ultimi cento anni, dalla guerra italiana in Libia. Il rapporto è visto soprattutto, ma non solo, come produzione documentaria interna alle istituzioni e alle forze armate, con specifici addestramenti e finalità, che possono però cambiare, nel corso del tempo e nel cambiamento dei soggetti coinvolti, destinazioni e usi.
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Information warfare: AI-mediated conflict in the eyes of the public
6 ottobre, Guerra e comunicazione, 2:56:51 | PERMALINK
Daria Arkhipova, UNITO
AI recommendations and other AI tools can be used as a weapon in information warfare. This is a weapon of facts, words, and images that can create environments that alter users’ perceptions of reality. Created as a world that candidly transmits personal experiences and opinions, Social media profoundly impact their users’ perception of facts and experiences of the world they would not have reached otherwise. From the first days of the conflict on Ukrainian territory, both sides, pro-Ukrainian and pro-Russian digital content creators, actively used the tools of Social media alongside AI recommendations to influence the publics’ opinions and social values around it. For more than a year and a half, this conflict has been lived and faced by directly affected citizens and shared through digital environments. Today it is possible to talk about the impact it has on passive participants who are sharing the experience of the direct participant through Social media.
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Guerra e pace nei volti: Una semiotica facciale
6 ottobre, Guerra e comunicazione, 3:17:53 | PERMALINK
Massimo Leone, UNITO
Si proporrà una riflessione a sfondo semiotico sulla rappresentazione del volto nei contesti di guerra e per contrasto anche sulla loro trasformazione quando gli eventi bellici lasciano il passo a periodi di pace. Dai volti dei potenti a quelli del popolo, dai volti delle vittime a quelli dei soldati, la guerra è tutta una retorica facciale. Ma vi sono forse volti nascosti di persone e gruppi che, pur protagonisti nei contesti bellici, restano invisibili?
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La guerra prima della guerra. Ancora sul rapporto guerra immagini, e alcuni casi studio.
6 ottobre, Rappresentare e cancellare, 3:51:42 | PERMALINK
Federico Montanari, UNIMORE
Scopo dell'intervento è quello, da un lato, di illustrare alcuni tratti che caratterizzano le cosiddette guerre "di quarta generazione" (ibride, in contesti e con attori "flu", con uso di molteplici tecnologie e tattiche informative, fra civili e militari; ma suscettibili anche di ritornare, come dimostra la terribile guerra in Ucraina, sul terreno, trasformandosi in antiche guerre di "logoramento"). In secondo luogo, si tratta di comprendere meglio e di nuovo il rapporto strategico che lega queste guerre alle immagini, attraverso alcuni esempi che andremo a mostrare. Non si tratterebbe solo, seguendo un'ipotesi anche a partire da diversi altri studiosi, di rappresentazione, manipolazione, propaganda o, ancora, di "spettacolarizzazione"; ma anche di un carattere di tipo diverso. Di come le immagini divengono, già con Virilio, parte di una "logistica", e oggi di una strategia generalizzata di guerra.
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Il paradosso sulle armi dal warfare al welfare
6 ottobre, Guerra e comunicazione, 4:39:24 | PERMALINK
Tiziana Migliore, UNIURB
Nei discorsi politici e bellici attecchisce una narrazione secondo la quale accumulare armamenti, in pace come in guerra, è garanzia di sicurezza. In America tale racconto si è tradotto da tempo in norme che consentono il porto facile per la società civile; in Europa esso si diffonde progressivamente occultando la cultura della morte veicolata dalle armi e rendendo naturale, quasi ovvio, il loro passaggio dal warfare al welfare, della salute e della salvezza che procurerebbero. Tenteremo di mettere a nudo le contraddizioni del messaggio che "le armi salvano vite" e spiegare che i pacifisti, cioè coloro che lottano per la pace perché la vogliono, combattono senza armi, cercando la mediazione delle parole.
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La trasformazione digitale dei monumenti controversi per l'incontro e l'apprendimento attivo
6 ottobre, Rappresentare e cancellare, 5:10:27 | PERMALINK
Federico Bellentani, UNITO
Di recente si sono susseguiti numerosi dibattiti sulla rimozione di monumenti e memoriali che commemorano eventi e persone considerate controverse dalla società o da parte di essa. A seguito dell'invasione russa dell'Ucraina nel 2022, le controversie riguardanti la presenza nello spazio pubblico di monumenti sovietici stanno aumentando in Europa centrale ed orientale. Questo caso si aggiunge ad altre controversie che coinvolgono monumenti e memoriali di guerra in Europa e nel resto del mondo, come i monumenti confederati negli Stati Uniti e altre statue che celebrano ideali razzisti e colonialisti. L'obiettivo di questa ricerca è prevedere una trasformazione digitale dei monumenti controversi, la cui rimozione sembra ormai poco plausibile per ragioni sociali, culturali ed economiche, attraverso la progettazione di tecnologie pensate a partire dagli utenti. Viene sviluppato un quadro interdisciplinare per le soluzioni digitali al fine di immaginare i monumenti controversi come luoghi di incontro e apprendimento attivo, anziché come spazi che alimentano controversie. Le comunità di ricerca che si occupano del patrimonio culturale, così come le organizzazioni locali, regionali e nazionali, possono beneficiare dei risultati di questo progetto nella gestione dei monumenti e memoriali controversi.
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