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Call for Papers

Zombesque. Sociosemiotica di un’epidemia culturale

a cura di Andrea Bernardelli, Federico Montanari e Eduardo Grillo.

deadline: 30 settembre 2024

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Di non morti parlava già Eraclito, ma certo non immaginava che un giorno avremmo visto orde di zombie sfilare nelle nostre città (Tirino 2018; Riley 2015; Orpana 2011). Era una metafora, allora come oggi, e forse ormai qualcosa di più (da mito a simbolo? figura, in senso auerbachiano?). Saldamente installato nell’immaginario collettivo, lo zombie ha percorso una lunga strada dalle notti di Haiti ai nostri schermi, fino a popolare pressoché tutte le discipline, dalla filosofia alla sociologia, dalla mediologia all’epidemiologia. Tuttavia, la semiotica si è raramente occupata dei non morti, se si eccettuano il breve accenno di Umberto Eco (1964), il denso saggio sugli anni “obamitici” di Paolo Fabbri (2021) e pochi altri casi.
Il momento è propizio, invece, per un’ampia riflessione che restituisca spessore semiotico a una figura che turba la nostra immaginazione, sfida i limiti delle nostre tassonomie e, al contempo, sembra adeguata a rappresentare ogni timore, ogni emergenza, finanche le abitudini quotidiane di noi umani del XXI secolo. D’altra parte, nel corso della sua storia lo zombie si è contraddittoriamente evoluto, e non cessa di modificarsi e di adattarsi alle nuove condizioni sociali.
Vale la pena, allora, interrogarsi sulle modalità di articolazione, sull’estrema plasticità, sulle potenzialità di senso e in definitiva sull’efficacia di questa figura perturbante, incubo opprimente o segno eloquente di una società sempre più zombesque.

Di seguito alcuni spunti di riflessione:

– Uno zombie non è né vivo né morto, bloccato in quello stato liminare che allude, come ha già ricordato Fabbri (2021), a complesse questioni bioetiche, nonché ai costanti tentativi di allungare artificialmente la durata della vita. Quanto questa inquietante neutralità prefigura il nostro avvenire? In che modo invece riconfigura la paura del ritorno dalla morte che ha ossessionato i nostri antenati (Ariès 1975; Murphy 2008; Reynolds 2009; Nizzo 2018)?
– Sempre più spesso lo zombie viene utilizzato come la perfetta metafora del nostro rapporto con i consumi, con il futuro, con il sonno (Crary 2013), con i dispositivi elettronici. Si tratta di analogie efficaci? In quale misura e in che senso siamo già morti che camminano, se questo è il caso?
– Dai film di Romero in poi, gli zombie si muovono sempre in branchi, senza che emerga alcuna individualità. D’altra parte, I am legend ci mostra un gruppo guidato da un leader, e i primi zombie haitiani erano singoli schiavi. Ma può esistere un individuo zombie, oppure esso è precisamente il rovescio di ogni possibile individuazione (Ronchi 2015)? La filosofia cognitivista non si fa scrupolo di mettere in scena lo zombie per studiare la coscienza e il problema mente-corpo. Cosa può dire la semiotica di queste riflessioni? E quale rapporto tra singolo e collettività rappresenta il non morto? Gli zombie sono davvero l’emblema di una democrazia portata alle estreme conseguenze (Fabbri 2021)? Infine: in che modo si può parlare di identità di genere a proposito degli zombie (Greene, Meyer 2014)? Si tratta senza dubbio di un “it” oppure ci sono altre possibilità (Flore Ohlson 2018; 2019; 2020)?
– Nuove incarnazioni televisive (Les revenants, ad esempio) mostrano zombie alquanto diversi, non putrescenti e soprattutto in grado di parlare. Ma sono davvero zombie? Può uno zombie andare oltre poche stereotipie, già viste in alcuni film, e comunicare in senso proprio? Cosa dice la mancanza di linguaggio articolato dello zombie sulla comunicazione nelle nostre società?
– In molti casi, il ritorno dalla morte è il risultato di un’epidemia; d’altronde, lo stesso processo di zombificazione è in fondo un contagio per contatto (cruento). Già alcuni studi di epidemiologia considerano un’apocalissi zombie come l’epidemia per eccellenza, alla quale non è possibile sfuggire (Smith 2015). Al di là di queste utili finzioni, cosa la figura dello zombie suggerisce a proposito dei fenomeni di contagio e sul (mancato) aggiustamento interpersonale (Landowski)? Inoltre: la metafora zombie è stata utilizzata, durante la fase acuta della pandemia Covid, da parte dei contestatori per significare l’assoggettamento alle nuove regole di comportamento; ma l’argomentazione figurativa potrebbe essere rovesciata. Quali sono i rapporti tra lo zombie e la riscoperta vulnerabilità davanti alle epidemie?
– Il recente The Dead Don’t Die (2019), ironico e metanarrativo, collega direttamente l’avvento degli zombie con gli effetti del cambiamento climatico. Esistono relazioni effettive tra l’essere zombie e l’apocalissi climatica? Lo zombie rappresenta la nostra prolungata cecità o funziona anche per altri aspetti e dimensioni del rischio ambientale (Oloff 2012; Bulfin 2017; Brereton 2020)?







 
 
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ISSN 1724-7810   |   DOI: 10.12977/ocula

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