Ocula 4, dicembre 2003

Semiotica della laff box

 

di Giampaolo Proni



Quali effetti partecipativi ha il compito di produrre la "risata registrata" che accompagna gli spettacoli televisivi? La recente scomparsa del suo inventore offre all'autore l'occasione per tentare un'analisi semiotica e comunicazionale di questo artificio, che è specificamente televisivo e che vanta una lunga e planetaria adozione.




L’8 aprile 2003, all’età di 93 anni, è morto Charlie Douglass, l’inventore della "Laff Box", la risata registrata che negli spettacoli TV imita le reazioni di ilarità del pubblico. Douglass ebbe l’idea di costruire una ‘macchina delle risate’ quando, negli anni ’50, lavorava per spettacoli televisivi dal vivo.

In onore di questo grande tecnico della TV, ho tentato un’analisi semiotica e comunicazionale della ‘risata registrata’, introdotta in Italia dalle televisioni private molto più tardi.

Il riso dello spettatore è un effetto della ricezione e comprensione del messaggio; è un comportamento spontaneo, cioè una risposta non controllata; come segnale, comunica all’emittente (se la comunicazione è a due vie) che il suo messaggio ha suscitato un effetto.

L’effetto può essere non voluto, cioè non corrispondere alle intenzioni, oppure intenzionale.

Tralasciamo il primo caso, la comicità involontaria.

Nel secondo caso, abbiamo una situazione nella quale un emittente vuole/intende provocare il riso nel/i ricevente/i.

Si danno ancora due casi: il ricevente è al corrente della intenzione dell’emittente, o non lo è.

Nel secondo caso abbiamo situazioni comunicazionali nelle quali qualcuno prova ‘a sorpresa’ a far ridere qualcun altro. Clown di strada, scherzi, giochi e motti di spirito. Li lasciamo da parte.

La situazione che esaminiamo è quella dello ‘spettacolo comico’: emittente e ricevente condividono un frame nel quale il primo (che ricopre il ruolo di comico) vuole e deve provocare il riso nel secondo (che ha il ruolo di spettatore). Le diverse tipologie di spettacolo circoscrivono ulteriormente mezzi, spazi, tempi e modalità degli atti semiosici consentiti o previsti.

Una particolarità che deriva dalla natura spontanea del riso è che la risposta dell’audience è statistica e binaria. Binaria perché uno spettatore o ride o non ride. Il ‘sorriso’, cioè il riso silenzioso, non è considerato segnale sufficiente dal genere comico per ritenere felice l’atto semiosico. Statistica perché l’audience ride in percentuale, nel numero e nel tempo dello spettacolo. E’ praticamente impossibile che tutti ridano in ogni momento. Solitamente il riso si dispone, quando lo spettacolo avviene con una platea reale, in varie posizioni e momenti dello spaziotempo scenico. Il testo comico è comunque costituito quasi sempre ‘a battute’ o a gag, cioè prevede momenti dell’enunciazione che sono particolarmente studiati per provocare il riso. La ‘battuta’ va prima intesa a livello espressivo, poi compresa, e infine può provocare il riso. Questo avviene in una durata di tempo. Vi sono situazioni comiche percettive (come quelle clownesche) che sono di immediata comprensione, mentre vi sono battute complesse che richiedono un tempo di comprensione e provocano il riso con un certo ritardo. Il riso dei primi spettatori segnala a quelli più lenti che ‘si deve ridere’. E’ una gag tradizionale dei cabarettisti quella di prendere in giro lo spettatore che ride dopo tutti gli altri: "Eh, l’ha capita adesso!", e tutti ridono ancora. Il riso insomma non è corale del tutto, ma si origina e finisce in modo statistico, aggregandosi nel corso di uno spettacolo attorno a focolai e individui. Non a caso la metafora letteraria del riso lo accosta al fuoco, e non, come gli applausi e i fischi, alla pioggia o, come la paura o la tensione, all’aria (un diluvio di applausi, una grandinata di fischi; il brivido della paura).

Quindi anche l’interazione degli spettatori tra loro è significativa (entra in gioco) nella determinazione dell’effetto-riso. E’ nota la ‘contagiosità’ di molti fenomeni comunicativi, e il riso è tra questi. Il gruppo sociale occasionale è fortemente imitativo, dal momento che condivide il frame nel quale si trova, volontariamente, coinvolto. Tuttavia, trattandosi di una risposta spontanea, la situazione è particolare. Qui va posto il focus.

Abbiamo dunque un testo/messaggio che viene emesso per originare un effetto. Ma il ricevente non può (e non vuole) produrre l’effetto volontariamente. Infatti la risposta del riso può essere simulata (si può ridere ‘per finta’), ma non si prova il piacere del riso.

Infatti il riso non è il piacere in sé, ma l’indice del piacere legato alla ricezione di un messaggio comico. A sua volta, come riso spontaneo, diviene un piacere, ma solo se spontaneo. La situazione è diversa, per esempio, per lo starnuto, che può essere provocato ad arte (per esempio fiutando tabacco), sfruttando un circuito fisiologico stimolo-risposta. Ma non è comunicazione, non è un effetto indiretto: lo starnuto è il piacere dello starnuto, che calma l’irritazione del pizzicore alle narici. Il riso, invece, è derivato direttamente dalla ricezione di un messaggio, che quindi è prima stato interpretato. Direttamente, può essere provocato solo dal solletico, fenomeno interessante ma non comunicativo, solo fisiologico.

Lo spettacolo comico è dunque una situazione nella quale i riceventi si espongono volontariamente a messaggi con il desiderio che tali messaggi provochino in sé stessi un effetto spontaneo che i riceventi da soli non potrebbero produrre. Tale situazione assomiglia (con metafora che spesso gli stessi comici usano) alla prestazione di una persona che si prostituisce, se non fosse che costei usa solo parzialmente la comunicazione e per lo più stimoli diretti.

In sintesi, lo spettatore si offre al comico dicendo implicitamente "Fammi ridere".

Bene. Restringiamo ulteriormente il nostro obiettivo allo spettacolo comico in TV.

La TV è una canale mediatico monodirezionale sincrono uno-a-molti, con contenuti audio-video, i cui riceventi sono individui singoli o in piccoli gruppi famigliari o amicali posti per lo più in abitazioni private.

In quanto tale l’emittente non ha alcun modo di verificare la risposta del ricevente, e i riceventi non possono interagire tra loro (o possono in misura limitata). Inoltre con l’aumento del numero di televisori per nucleo famigliare, la visione è divenuta sempre più spesso individuale.

Ciò comporta per la comicità televisiva la mancanza dell’interazione tra emittente e riceventi e tra i riceventi, che sono importanti per l’effetto-riso.

Vi sono due scuole di comici rispetto alla scelta se il comico debba o meno ridere delle proprie battute, allo scopo di contagiare gli spettatori.

Da una parte abbiamo Chaplin, e ancor più Buster Keaton, la comicità dei quali implicava la serietà dell’attore, e dall’altra Jerry Lewis il quale, anche in relazione alla propria ‘maschera’ comica, rideva. Come ride Dario Fo, sia pure ‘a parte’, sdoppiandosi in una maschera dell’attore e in una maschera dello spettatore implicito. Grillo, a sua volta, ride fingendo di non riuscire a trattenersi alle situazioni descritte dalle proprie battute.

La TV ha cercato di ovviare alla separazione dal suo spettatore e degli spettatori tra loro, dapprima trasmettendo spettacoli teatrali veri e propri, con pubblici che reagivano autenticamente ad attori che recitavano autenticamente. Questa soluzione è ancora vincente, come dimostra nella primavera 2003 il successo dello spettacolo Zelig, condotto da Claudio Bisio e Michelle Hunziker, che va in onda con un vero pubblico.

Tuttavia la TV ha prodotto nuovi generi, nati con la TV stessa e non da riprese di eventi già codificati. Sit com, striscie e altre tipologie non consentono la presenza di un vero pubblico.

Così, alla battuta del comico non seguiva nulla. Né la risata ripresa dal vivo dello spettacolo teatrale video-trasmesso, né la risata degli altri spettatori al cinema. Qui si pone l’invenzione della ‘laff box, cioè la messa in onda, in corrispondenza dei una battuta o di una gag, di risate registrate.

Lo spettatore, a casa, sa di ascoltare risate registrate. Questo uso è molto semplice nel suo scopo: a) segnalare i punti ‘da ridere’ agli spettatori a casa (magari distratti); b) introdurre ‘l’effetto contagio’ in una situazione comunicativa che non lo consente altrimenti.

La laff box, tuttavia, costituisce uno ‘spaesamento-spostamento-slittamento’ semiotico del frame del comico. Infatti la laff box è controllata dalla regia, che è solidale all’attore comico come emittente collettivo. E’ simile alla risata del comico, ma il comico non può nascondere che è lui stesso a ridere, e con ciò rivela la sua intenzione. La laff box pretende di essere risate del pubblico ma il pubblico vero (i telespettatori) sanno che quel pubblico non c’è, che è registrato.

Ottiene degli effetti? Non è compito della semiotica rispondere, ma se ha avuto tanto successo è da pensare che sia così.

La semiotica può però definirla in termini generali come caso della "trasmissione da parte di un emittente della falsificazione esplicita dell’effetto spontaneo che il suo messaggio dovrebbe provocare, allo scopo di provocarlo (o meglio di accrescere la probabilità che si verifichi)". Sarebbe come se un insegnante, durante la propria lezione, inserisse di tanto in tanto la registrazione di uno studente che esclama "Ho capito! "Sì, è chiaro!" "Ah, proprio interessante!". C’è da chiedersi "Ma può l’effetto sostituire la causa?" Se una battuta non fa ridere, sentendo ridere, riderò?

A quanto pare, in alcuni comportamenti sociali il fattore imitativo o mimetico è così importante che l’esposizione all’effetto può sostituire o rafforzare la causa.

Una laff box theory andrebbe sperimentata: visitatori apertamente finti che commentano positivamente una mostra di pittura possono migliorare la percezione estetica di visitatori veri? Apertamente finti consumatori possono migliorare la percezione di un supermercato riempiendo con allegria i loro carrelli?

Se fosse così, una nuova corrente di marketing si aprirebbe.