Ocula zero, giugno 2001

Musica elettronica: strumenti, materie, storia di un medium.


 

di Lucio Spaziante



Io penso che forma sia uguale
a contenuto, che contenuto sia
uguale a materiale e che
materiale sia uguale a forma.
Karlheinz Stockhausen




La musica è materia sonora e questa materia ha una fonte. Si tratta allora di trovare quante più fonti possibili per fare scaturire la musica, che forse è solo una massa di onde, con una durata e un’intensità, che ci avvolgono. Da quando esiste la radio sappiamo che le onde possono essere "captate" cioè prese, catturate. Possiamo metterci sulla stessa frequenza di una trasmissione radio per ascoltarla. Come facciamo a captare le onde musicali? Dove le andiamo a prendere? Le produciamo, e le produciamo da sempre. Non è facile ipotizzare se il primo suono umano sia stato un’imitazione a partire da un ascolto oppure una produzione interna che, a poco a poco, ha costruito uno spazio e un ambiente sonoro risonante.

Se poi deve essere l’ambiente a suonare con la nostra collaborazione, allora il sogno della costruzione di una macchina pre-radio che capti le onde musicali esiste dall’arpa Eolia, considerato il primo strumento "automatico", in grado di suonare grazie all’energia naturale del vento. Lo strumento possedeva due supporti sui quali venivano poste le corde, e veniva posizionato su una finestra da dove sarebbe passata la corrente; le corde venivano messe in vibrazione dall’aria. Invece che essere di differenti lunghezze, le corde erano di pari lunghezza e pari accordatura. Solo il loro differente spessore produceva variazioni di intonazione. Strumento a vento aleatorio. Inizio di un rapporto di immediatezza/mediazione tra sostanze sonore, tra oggetti di innesco e ricettori.

Nel corso questa lunga relazione, il sogno musicale ha visto figure che si sono succedute, alternate e sono state protagoniste di eterni ritorni. Gli "strumenti", gli attrezzi musicali, sono divenuti serie di interfacce materiali create, dimenticate ma mai scomparse, memoria continua di infinite possibilità di creazione musicale. Onde sonore così semplici da ascoltare ma così complesse da riprodurre.

Un insieme di artefatti, riflessioni scientifiche, approcci razionali e spontanei, storie di invenzioni di macchine futuribili, alcune fallite e dimenticate, altre divenute patrimonio naturale dell’ambiente. L’utopia della creazione ex-novo attraverso la macchina, prende corpo ad esempio in un testo di Athanasius Kircher, Musurgia Universalis (1600), nel quale si descrive un congegno meccanico in grado di produrre un gioco di assemblaggio mediante sequenze musicali preordinate. Kircher adoperava numeri e relazioni aritmetiche per rappresentare relazioni di scala, ritmo e tempo, assemblate su tavolette di legno o carta, per un progetto definito Arca Musarithmica.



(Arca Musarithmica)


Anche il filosofo inglese Francis Bacon quando trattò l’utopia scientifica nella Nuova Atlantide, dichiarò: "abbiamo sound-houses dove realizziamo e dimostriamo tutti i suoni e la loro generazione".

Chissà cosa ci sarebbe capitato di udire in quelle case dei suoni, visto che dovranno passare ben duecento anni prima che un documento attesti la nascita della musica elettronica come realizzazione concreta dell’utopia nuovista.

Vediamo alcuni esempi storici.

Per confermare l’ipotesi di una ricaduta delle invenzioni su altre funzionalità, o addirittura di una serendipità (che porta a scoprire qualcosa che è altro da ciò che ci si prefiggeva), il primo generatore di suono elettrico nasce dal telefono. Ovvero il segnale telefonico via cavo viene adoperato per generare un suono musicale.

Elisha Gray brevettò il suo modello di telefono solo un’ora dopo che Bell ne aveva già depositato la proprietà, ma verrà anche ricordato per essere l’ideatore del ‘telegrafo musicale’. Gray scoprì per caso di poter controllare il suono attraverso un circuito elettromagnetico auto-vibrante. Il telegrafo musicale conteneva oscillatori a tono singolo, in grado di ‘suonare’ due ottave. Con questo apparecchio, Gray andò in tourneé nel 1874.

Assecondando il determinismo storico-tecnologico (vedi Mc Luhan), l’inizio del Novecento annuncia la vera nascita dell’era elettronica con uno strumento tecnologicamente avanzato e pesante quasi quanto un transatlantico: il Thelarmonium, primo strumento elettronico, del peso di 200 tonnellate. Presentato al pubblico nel 1907, era basato su un insieme di 145 dinamo modificate, che producevano correnti alternate di differenti frequenze, controllate da tastiere polifoniche sensibili alla velocità. L’amplificazione era devoluta a veri e propri ricevitori telefonici collegati a corni acustici.



(Thelarmonium)


L’apparecchio di Theodore Cahill, precedendo l’invenzione dell’amplificatore di vent’anni, pur producendo una potenza sufficiente da non dover appoggiare l’orecchio ai diffusori, non era però utile a produrre suoni accettabili all’ascolto dell’epoca. Quello che viene ora considerato l’antenato dell’organo Hammond, che sarà lo strumento cardine del jazz e del rhythm & blues, fu conservato in una enorme sala di New York appositamente concepita e denominata "Thelarmonium’s hall".

La sperimentazione andava in tutte le direzioni e proveniva anche dalle menti bolsceviche. Sembra che anche Lenin (mente della prima rivoluzione socialista ed elettrica) s’interessasse alle tendenze dell’elettronica e avesse richiesto lezioni di "rythmicon" che verrà poi reso noto col nome di Theremin, dal nome del suo inventore. Quest’altro prodotto dell’utopia musicale consisteva in due oscillatori che producevano due frequenze vicine ma differenti, che provocavano battimenti. Fu ideato da radio-ingegneri che sperimentavano con valvole radio sottovuoto, i quali notarono con preoccupazione che avvicinando il corpo all’apparecchio, si provocavano variazioni di frequenza.

Quello che era un problema divenne un'opportunità: il theremin o "eterofono" si suonava muovendo le mani attorno ad un cerchio di metallo per modificare il volume e attorno ad un’antenna per modificare l’intonazione.



(una suonatrice di Theremin)


Caso pressochè unico di strumento elettronico che si gestisce attraverso le forme del corpo. Produceva un fischio simile ad un violino che si trasformava poi in suoni precedentemente inauditi (miniera d’oro per gli effetti speciali sonori di science-fiction). L’oscillatore a valvole, cuore del sistema, fu la base della successiva ricerca elettronica, fino all’avvento del transistor. Il prodotto vantava numerosi tentativi d’imitazione ed esibisce tuttora persino un Theremin Enthusiasts Club International: una società internazionale di proprietari, costruttori e suonatori di Theremin. Tra costoro possiamo annovare l’oramai triviale citazione dei Beach Boys, che diedero allo strumento dignità nel rock, adoperandolo come climax della arcinota Good Vibrations. In tempi di modernariato, è divenuto elemento costitutivo del set di John Spencer, vate del post-pre-rock e persino della Innerzone Orchestra di Carl Craig, santone della techno-fusion.

Con l’avvento delle Onde Martenot (1928) (costruite seguendo il principio del Theremin, ma adoperando un elettrodo, al posto dell'antenna radio, in grado di produrre varianti di capacità), si avvera il sogno produttivo della sintesi: la sintesi sottrattiva. Laurence Hammond al contrario adopererà la sintesi additiva per costruire il famoso organo: 91 generatori a disco elettromagnetico pilotati da un motore sincronizzato. La fisica acustica guarda dunque alla musica come luogo di ricerca e sperimentazione. "[Sintetizzatore]: persona o cosa che sintetizza". Nasce l’ idea della sintesi, cioè mettere insieme parti o elementi in modo da formare un tutto. La sintesi sonora è basata su modelli fisici che non modellano il suono ma il meccanismo di produzione del suono.

Macchine musicali di consistenza concepite per i suoni e non per riprodurli, in grado di molecolarizzare ed atomizzare la materia sonora. Lo svelamento prodotto dal sintetizzatore nelle sue forme arcaiche o evolute, consiste nel rendere udibile il processo sonoro, nell’evidenziarne il procedimento di produzione: "la sintesi che si produce è quella del molecolare e del cosmico, del materiale e della forza, non più quella della forma e della materia". Forma, contenuto e materia divengono un tutt’uno. Ciò che rende più reale del reale il procedimento di sintesi è la sua sottile discernibilità. La descrizione dell’essenziale che va a costituire il tutto. In opposizione alle idee di riproduzione e di concreto, che invece attingono ad una supposta naturalità come fonte attraverso cui giungere al suono.

L’utopia della doppia natura fu invece perseguita a partire dalla prima voce umana "registrata" e successivamente ri-prodotta. "Mary had a little lamb" fu la prima traccia umana (e fu una canzone ) ad essere riprodotta , grazie a Thomas Edison nel 1877, da un apparecchio elettrico su cilindro fonografico, ovvero il precursore del grammofono. La fonografia mantenne il proprio statuto riproduttivo, perché non poteva assolvere che alla funzione di documentazione, immagazzinamento e trasmissione di dati ed eventi. La diffusione di massa di infiniti originali artistici diventerà la sfida commerciale e tecnologica di quel periodo, nel quale Bing Crosby (1926) inizia ad adoperare per le proprie incisioni il nuovo microfono a condensatore, concepito nei laboratori Bell nel 1922. Il microfono incoraggiava le sonorità seduttive dei "crooner" quando veniva tenuto ravvicinato alla bocca del cantante. La tecnica, al servizio dell’arte-mercato: condensatore = seduzione = vendita. E’ del 1925 la diffusione del primo disco registrato interamente per via elettrica e di lì a pochi anni appare negli Stati Uniti il primo "advertisement" che parla esplicitamente di High Fidelity. Viene solidamente sottoscritto il contratto per la diffusione di massa di un grande evento unico, a fedele disposizione di ogni acquirente.

La strada dell’invenzione e quella della riproduzione percorrono fino ad ora cammini separati: da un lato l’inaudito e la creazione dall’informe, dall’altro la perversa tensione verso la ri-creazione speculare e la clonazione dell’identico.

I venti di guerra spingevano intanto nella direzione dell’informazione e non della materia sonora pura. Viene dalla Germania del Terzo Reich, e lì all’inizio rimane, il primo nastro magnetico di registrazione sonora, grazie alle industrie BASF/AEG unitesi per giungere a questo risultato. Le US Forces erano riuscite a produrne solo un modello a filo (wire recorder) di qualità e potenzialità limitate.

Nel 1945 il Capitano John Mullin del Signal Corps, entrato in Germania, trova alcuni magnetofoni nella Radio Frankfurt, insieme a bobine da 1 km di nastro da mezzo pollice, al ferro, della durata singola di 20 minuti. Il Capitano porterà l’apparecchio a S.Francisco e da qui l’Ampex darà il via alla magnetofonia americana, assieme alla Minnesota Mining and Manufacturing (3M). La battaglia si sposta sui campi della velocità: Columbia (33 1/3 rpm) ed RCA Victor (45 rpm) creano due differenti standard di supporto fonografico con differenti lunghezze e velocità. Stranamente raggiungono un accordo reciproco, e in soli due anni.

La possibilità di riprodurre musica a basso costo e con praticità d’uso diede un’accelerazione anche alla sperimentazione. Le potenzialità manipolative del nastro magnetico furono tali da creare una vera e propria corrente estetica: la musica concreta, il cui ideale consisteva nell’attingere ad immagini sonore del mondo esterno. Immagini sovrapposte, frammentate, allargate e dissezionate attraverso il nastro, il che consentiva l’alterazione infinita della fonte registrata. Velocità ed intonazione iniziarono a esibire una relazione diretta; la reversibilità del tempo lineare divenne un mito infranto; fine ed inizio, frammento ripetuto, giustapposizione eterogenea, tutto legato e messo in "loop", in circolo: un circolo virtuoso che crea la figura mentale attorno alla quale ruota anche la costruzione musicale odierna. Gocce d’acqua, onde oceaniche e palline da flipper, vagiti e respiri, entrano a fare parte della grammatica musicale come non mai era accaduto. Al suono inaudito si affianca il suono naturale, messo a rivelare lati nascosti del proprio essere, attraverso un intervento che ne rivela forme e procedure.

L’analisi e la decostruzione della materia sonora diventano lo scopo cui giungere attraverso vie d’accesso eterogenee. L’artigianalità tecnologica del nastro si affianca alla gelida alchimia dei laboratori di acustica ed elettronica. Il sogno della sintesi della vita musicale originata solo dagli elettroni prende corpo grazie al MarkII, versione aggiornata di un sintetizzatore dotato di generatori che producono energia elettrica trasformata in onde sonore, modificate, controllate e filtrate. Questa macchina del 1959, ancora custodita nello studio della Columbia University a New York, divenne lo strumento per la prima composizione per sintetizzatore di Milton Babbit nel 1964, eseguita grazie alla somministrazione di schede perforate, antenate dei giga hard disk contemporanei.

Il sintetizzatore ha subito radicali mutamenti da allora, ma il concetto che lo definisce è rimasto inalterato: partire con un segnale generato elettronicamente, processare il segnale attraverso un metodo elettronico ed uscire con un unico suono irriproducibile con altri strumenti.

La macchina con cui l’immaginario comune si riferisce al "synth", in origine assomigliava in realtà ad un’enorme centrale telefonica. Ogni unità (box) fisicamente separata dall’altra, in grado di produrre o di modificare il segnale. Le connessioni tra box avvenivano attraverso cavi (molti), e le infinite possibilità di connessione, simili ad un centralino aziendale, generavano suoni difficilmente ripetibili senza un’accurata memorizzazione su carta e penna. Grande libertà compositiva e ridottissima capacità pratica e di movimento. I successivi modelli creeranno percorsi obbligati di combinazione, semplici ma con binari senza scambi. Il sogno della sintesi lascerà una traccia indelebile su tutta l’estetica musicale colta e popolare lungo trent’anni di vita culturale.



(Synclavier)


Si innesterà sull’immaginario macchinico e robotico stringendo uno stretto matrimonio che coinvolgerà un ampio ambito che va dalla fantascienza all’abbigliamento. Quando il campionatore sembrò decretarne la scomparsa a metà degli anni ‘80, fu solo il momento in cui il suo valore divenne definitivo: da quel momento cominceremo a parlare di sintesi analogica e digitale e sarà la storia di un altro loop infinito.


Lucio Spaziante

Link

History Of Electronic And Computer Music
Including Automatic Instruments And Composition Machines
http://music.dartmouth.edu/~wowem/electronmedia/music/eamhistory.html

120 years of electronic music
http://www.obsolete.com/120_years/