Ocula zero, dicembre 2000

La definizione dello spazio nel cinema di effetti speciali: X-Men di Bryan Singer


 

di Francesco Galofaro



Abstract>Un utilizzo del dolby e della quadrifonia che costituiscono una sfida alle categorie impiegate dagli analisti del cinema per analizzare il sonoro...


Reduce da film come I soliti sospetti e L’allievo, Bryan Singer punta al cult.Ogni scelta del film sembra ricercare l’emozione di un quindicenne, dal cast (che affianca ad ottimi attori come Ian McKellen e Anna Paquin ben due modelle, un lottatore professionista, Patrick Stewart di Star Trek e Ray Park di Guerre Stellari, episode one) alle scene di nudo, dal finale che lascia intravedere possibili seguiti a certe battute del film ("come faccio a sapere che sei davvero tu?" chiede Ciclope a Wolverine. "Sei un coglione" è l’icastica risposta) e a certi riferimenti al fumetto cui il film è ispirato. Il regista tenta anche approfondimenti su questioni etiche (l’odio nei confronti del diverso) o psicologici (l’adolescente mutante destinata a non essere mai sfiorata da mano umana), a dire il vero non molto convincenti in quella che è solo una ottima trasposizione cinematografica di un fumetto. Ma questo, come altri film basati essenzialmente sugli effetti speciali, ha altri punti di forza, altri aspetti di interesse, come ad esempio la costruzione dello spazio cinematografico, uno spazio non più prospettico, ma che si curva sotto i raggi sprigionati dagli occhi di uno dei protagonisti; uno spazio che rivela una propria struttura metafisica, che il crudele Magneto è in grato di alterare; uno spazio abitato da corpi in mutazione, provvisti di protesi che garantiscono una prensione su una realtà che sfugge ad una psiche antisociale, o ancora prosciugati della propria energia vitale, liquefatti o espropriati della propria identità da altri corpi mutaforma a loro volta privi di identità. Ancora uno spazio psichico che si sovrappone a quello fisico alterandone le caratteristiche e creando singolari discontinuità. Ed ecco un esempio di ciò che intendo dire, un utilizzo del dolby e della quadrifonia che costituiscono una sfida alle categorie impiegate dagli analisti del cinema per analizzare il sonoro.

Il professor Xavier è un telepate. La sua funzione, nell’economia della scena cui facciamo riferimento, è quella di convincere Logan dell’effettività dei propri poteri. Per fare questo, egli lo guida nel suo ufficio con la propria ‘voce mentale’, che Logan percepisce come proveniente da punti definiti dello spazio, nei quali non trova fonti nascoste di suono, altoparlanti ecc. Giunto nello studio del professore, Logan ode la sua voce provenire da quattro punti distinti dello spazio senza che Xavier muova le labbra.


Questo effetto di senso viene ottenuto tramite la quadrifonia. Lo spettatore in sala, la cui "prospettiva di ascolto" coincide con quella di Logan, costantemente inquadrato in primo piano durante la scena, ascolta la stessa frase provenire in rapida successione:


  • in un primo momento di fronte a destra;

  • in secondo momento alle proprie spalle a sinistra;

  • in seguito di fronte a sinistra;

  • infine alle spalle a sinistra;

Lo sguardo di Logan si sposta e pare osservare le fonti apparenti della voce del professore, il suo sguardo si sposta da punti nello schermo a punti fuori dallo schermo. Il professore è sempre presente nell’inquadratura, e le sue labbra non si muovono.


In questo modo, per qualche istante, viene a costituirsi uno spazio filmico più vasto rispetto a quello dello schermo; una sorta di mondo filmico circostante le inquadrature. Michel Chion ha analizzato più volte fenomeni simili, provocati ad esempio da una voce fuori campo o dal sonoro on the air, trasmesso da una fonte meccanica come un telefono o una radio. Grazie alla quadrifonia, lo spettatore si sente inscritto in questo mondo, fenomeno più volte studiato da psicologi e percettologi e sul quale non è il caso di ritornare. Dove sarebbe la novità?

Il problema è che tale spazio creato per un istante, è subito negato; negato per il fatto che il professore non muove le labbra; Logan, e con lui lo spettatore, si convince dunque che la voce è mentale. Abbiamo quindi un sonoro che a volte è ‘fuori campo’ e a volte non lo è, che può ricordare il suono on the air per la non-corrispondenza della provenienza del suono con la sua fonte, ma che invece di descrivere uno spazio che circoscrive l’inquadratura porta a dubitare della struttura stessa dello spazio. Lo spettatore può udire in sala "suoni" e "voci" che provengono dalla mente del professore e risuonano nella testa di Logan, ma non nello spazio filmico.


Gli effetti sul piano narrativo sono interessanti:

Abbiamo una determinata informazione: Xavier (d’ora in poi X) è un telepate. Chiameremo questa informazione ‘p’. Logan (d’ora in poi L), che non è un telepate, non è al corrente di 'p'. Tale informazione circola dunque nel testo da Xavier a Logan, e valica i confini del testo finendo nelle 'tasche' degli spettatori come una sorta di pacchetto che passi di mano in mano fino alla destinazione cui era stato indirizzato fin dal prinipio. Avremo dunque la seguente situazione:

  1. Xavier informa Logan del suo essere telepate.

  2. X(p)L

  3. Nel fare questo, Xavier mette in scena un piccolo dramma, una rappresentazione (r) del suo essere telepate, ossia    X(r(p))L

  4. Xavier informa lo spettatore (S) del fatto tale effetto di senso è il prodotto dell’enunciazione (e) cinematografica (Metz). La quadrifonia ne è una caratteristica tecnica.

  5. Grazie all’effetto speciale e al dolby tale narrazione rompe la barriera tra pubblico e scena, costituendo una marca dell’enunciazione.

    Quando, nel linguaggio verbale, troviamo una frase come 'Egli mangia', abbiamo una marca dell'enunciazione, un individuo presupposto dalla frase. Così -in un testo visivo- abbiamo enunciazione nel manifesto dello Zio Sam "I Want You", dove la figura indica verso chi guarda con un dito puntato. In teatro abbiamo un'enunciazione di un certo tipo quando gli attori si rivolgono l'uno all'altro, di un diverso tipo quando si rivolgono al pubblico in un 'a parte'.

    In questo caso, non solo il testo filmico usa una certa enunciazione (la voce 'telepatica' e quadrifonica) ma la mostra nella storia, attraverso la narrazione. Ne fa un oggetto del proprio discorso.

    Abbiamo pertanto     X(e(r(p))L)S.


  6. Xavier incarna anche il fantasma dell’autore (A), che esso sia il regista, o lo sceneggiatore o chi per loro, o —a sentire Metz- null’altro che il testo cinematografico stesso, autore che è il vero mandante dell’informazione p, colui che voleva che essa pervenisse nelle tasche dello spettatore:

    A(X(e(r(p)))L)S.


Mi scuso per la formula, ma quel che voglio dire, in sintesi, è che in questa breve scena per un istante autore e spettatore hanno l’opportunità di sfiorarsi all’interno dello stesso film; essi si 'incarnano' nel professore e in Logan, per poi lasciarsi ritornando nel luogo (locus cinematographicus) d’origine che è loro consono. Credo sia questo uno dei più interessanti 'effetti degli effetti speciali' i quali, se utilizzati con sapienza, possono portare -con dignità pari a quella di altri dispositivi ben noti agli analisti- a superare per un attimo la barriera tra pubblico e film.




Francesco Galofaro



BIBLIOGRAFIA

Chion, M.

1990 L’audio-vision. Son et image au cinéma,Nathan, Paris (tr.it.L’audiovisione, suono e immagine nel cinema, Lindau, Torino, 1997).

Metz, C.

1995 L'enunciazione impersonale o il luogo del film, Edizioni scientifiche italiane, Napoli