Ocula zero, dicembre 2000

Lo spazio di Dio nel Web


 

di Davide Gasperi



Abstract>Come creare un'icona che rappresenti il 'luogo religioso' per tutte le culture? Il problema si pone al progettista della mappa grafica del Comune di Bologna, che racconta come lo ha risolto.


Tutti noi sappiamo quanto gli artifici grafici aiutino la quotidiana interazione con i computer. Finestre, icone, pulsanti, schemi, illustrazioni, diagrammi, animazioni, facilitano l'uso dei programmi per la scrittura, il calcolo, l'archiviazione e la consultazione di dati, la navigazione tra le informazioni di internet.

Se ci concentriamo sulle sole icone, i pittogrammi che identificano elementi funzionali come i pulsanti oppure che marcano la suddivisione tematica delle unità testuali dei siti web, si può osservare che in genere si tratta di immagini che svolgono dei compiti eminentemente funzionali.

In primo luogo le icone richiedono un tempo di riconoscimento e comprensione che non deve rallentare l'interazione. Devono denotare quindi chiaramente i loro contenuti informativi o funzionali e affidare alle connotazioni stilistiche che li caratterizzano il compito di coordinarli con lo stile comunicativo adottato dallo specifico sistema comunicativo.

Per questo motivo si basano su convenzioni iconografiche largamente condivise se sono rivolte a pubblici molto ampi o, all'inverso, adottano sottocodici specifici se rivolti a pubblici selezionati.

A partire dalla prima metà degli anni '80 con lo sviluppo delle interfacce grafiche per computer e dalla metà degli anni '90 con quello del Web, si è assistito ad un processo di progressiva stabilizzazione figurativa e convenzionalizzazione di pittogrammi. Processo che si è evoluto parallelamente alla crescita delle funzionalità tecniche dei computer, dei programmi e all'insieme dei generi testuali e dei servizi informativi della comunicazione telematica.

Dal un punto di vista progettuale e produttivo è ovvio affermare che quanto più i pubblici sono ristretti e identificabili e le funzionalità sono consolidate tanto più è semplice creare pittogrammi riconoscibili. All'opposto, via via che gli utenti potenziali di un sistema comunicativo aumentano, si differenziano per cultura, diminuiscono le convenzioni condivise e diventa più difficile che i pittogrammi siano comprensibili.

La difficoltà aumenta ulteriormente quando si vogliono realizzare dei pittogrammi per servizi informativi che riguardano nozioni che sono concepite diversamente da culture differenti. In quel caso si deve affrontare un complesso processo di invenzione grafica.

Questa problematica mi si è presentata in tutta la sua difficoltà nella mia esperienza professionale di progettista di interfacce quando, nel 1995, ho realizzato la mappa grafica (fig. 1) per la navigazione nella rete civica Iperbole del Comune di Bologna. In specifico il problema riguardava la realizzazione di un pittogramma per l'accesso alle pagine informative sui diversi culti religiosi praticati in città.


Mappa di navigazione di Iperbole

fig.1 - Mappa di Iperbole


In primo luogo, insieme alla committenza, si è deciso di evitare l'ovvio e culturalmente 'naturale' identificativo della chiesa o comunque l'uso di simboli giudaico-cristiani. E, dato non secondario, si è voluto promuovere il rispetto delle differenze culturali in una realtà sociale e comunicativa che deve rispettare la multiculturalità. Si è voluto quindi inventare un identificativo transculturale ed ecumenico.

Luoghi di Culto

fig. 2 - Luoghi di culto


Il risultato, illustrato dalla fig. 2 è una sfera dorata, sospesa sopra uno spazio circoscritto da un arco di cerchio da cui promana una luce che si arresta al limite della base quadrata e viola del pittogramma.

Nell'economia ecumenica della raffigurazione gli elementi figurali sono massimamente elementari e universali in modo che siano possibili interpretazioni basate sulla proiezione di contenuti diversi. Ecco allora un breve elenco dei sincretismi possibili:

  • L'elemento preminente è senz'altro la sfera che trova numerose associazione con il celeste e la divinità in molte culture. Nelle culture arcaiche rappresenta la perfezione e la totalità; in Platone è la forma che Dio fornisce all'universo e gli è connaturale; i sette cieli della cosmogonia islamica sono sferici. Nell'architettura cristiana e islamica la cupola semisferica rappresenta il paradiso o lo spazio il luogo della divinità. Nel nostro pittogramma la sfera è sospesa sopra un quadrato poiché molte culture associano lo sferico al celeste e il quadrato al terrestre.

  • L'arco di cerchio circoscrive lo spazio sacrale e abbraccia la comunità dei fedeli riunita nel rito come insegnano Stonehenge o il colonnato del Bernini in San Pietro.

  • La luce dorata che promana dal luogo sacro, senza un punto di emissione riconoscibile, può significare al tempo stesso emanazione divina, immanenza della divinità oppure energia irradiata dalla comunità dei credenti. La luce sacra non può irradiarsi nello spazio esterno al pittogramma per motivi funzionali. Per una buona comprensione dei pittogrammi è infatti necessario che ciascuna icona abbia limiti figurali ben precisi in modo che sia evidente l'area sensibile al click del mouse.

  • La scelta di usare il viola e il giallo oro è stata determinata in base alla ricorrenza in molte culture di questa coppia cromatica nei riti religiosi. L'oro, metallo prezioso e perfetto ha lo splendore della luce; in India l'oro è la luce minerale che ha carattere igneo, solare e reale, cioè divino. La carne degli dei in alcune culture è dipinta con l'oro così come il colore del fondo delle icone bizantine. Il viola è un altro colore con diffuse valenze mistiche e magiche ed è il colore che contrasta più vividamente con il giallo-oro, secondo la teoria del colore di Itten.

Naturalmente non è stato possibile formulare una soluzione assolutamente ecumenica perché talvolta i tratti distintivi di certi culti e dei loro spazi di esercizio non sono compatibili con quelli di altri. Un chiaro esempio ci è fornito dai riti Maya che si svolgevano in cima ad alte piramidi piuttosto che al livello del suolo. Un altro problema è costituito dall'identità naturale o artificiale degli spazi rituali: gli aborigeni australiani, ad esempio, eleggono a tale funzione dei luoghi naturali. Nel nostro pittogramma, sebbene non sia marcata la natura artificiale del perimetro sacro, non compaiono caratteri esplicitamente naturali e in virtù dei tratti grafici che caratterizzano questo pittogramma e quelli vicini la proiezioni di un tratto di naturalità è difficoltosa.

Sempre sul tema delle relazioni con gli altri pittogrammi della mappa è evidente come il pittogramma dei luoghi di culto sia collocato di fronte alla piazza centrale -il cui pittogramma dà accesso agli spazi di discussione- ed è affiancato dal pittogramma che rappresenta il municipio -icona d'accesso alle informazioni comunali. Ciò rappresenta una trasposizione dell'organizzazione urbanistica dei centri urbani italiani e questo è un dettaglio attinente alla veicolazione di tratti culturali locali nella comunicazione visiva globalizzata. Questa tematica, cioè del rapporto tra globale e locale sarà l'argomento di un prossimo articolo.

Un paio di considerazioni per concludere. A fronte dell'indispensabile comprensibilità dei pittogrammi, subordinata ai tempi e ai modi dell'interazione con i sistemi informatici, le nuove icone possono esibire una ricchezza e una densità di contenuti che a prima vista pare preclusa dalla loro natura funzionale.

Ma questa dimensione funzionale, in un sistema delle comunicazioni in rapida trasformazione, è anche il luogo in cui si realizza la messa in forma, anche figurativa, delle nuove concezioni che emergono dalla società in via di trasformazione. Ciò viene maggiormente in rilievo quando ci si trova a progettare oggetti per cui mancano convenzioni iconografiche condivise. In questi casi la comunicazione visiva partecipa a processi globali di elaborazione e di stabilizzazione delle convenzioni rappresentative. E' implicitamente chiamata a inventare il modo di rappresentare i nuovi valori e i nuovi significati che emergono dalla multiculturalità.


Davide Gasperi